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La sostituzione fedecommissaria | Intro | Cap. I | Cap. II | Cap. III | Cap. IV | Biblio |
I.1 - La sostituzione fedecommissaria: introduzione
I.2 - Natura giuridica dell'istituto fedecommissario
I.3 - Gli elementi costitutivi della fattispecie fedecommissaria
I.4 - I soggetti
I.5 - L'oggetto: i beni costituenti la legittima
I.6 - I casi di inefficacia
- Note -
I.1 - LA SOSTITUZIONE FEDECOMMISSARIA: INTRODUZIONE
Si designa con il termine di "fedecommesso" o "sostituzione fedecommissaria" la disposizione con la quale il testatore impone all'erede o al legatario l'obbligo di conservare i beni ricevuti per restituirli, alla sua morte, ad un'altra persona (sostituito) designata dal testatore medesimo.
L'istituto in esame ha alle sue spalle una lunga tradizione che lo ha visto protagonista di alterne vicende [1].
Rappresentando uno strumento assai efficace per mantenere integro il patrimonio ereditario e trasmetterlo di generazione in generazione, esso fu per lungo tempo utilizzato come valido vincolo al potere di disporre.
Soprattutto nel medioevo, in connessione con l'economia feudale, la sostituzione fedecommissaria ha ricevuto vasta applicazione, rispondendo all'esigenza della classe allora dominante di mantenere integro ed accentrato il patrimonio familiare in capo ai discendenti maschi, per conservare, con la preminenza economica, forza e prestigio politico e sociale [2].
Con l'unificazione, il codice del 1865, ispirato ad un assoluto liberalismo, sancì, invece, la nullità di " qualunque disposizione con la quale l'erede o il legatario è gravato con qualsivoglia espressione di conservare e restituire ad una terza persona " (art. 899 c.c.), rappresentando l'istituto un ostacolo alla libera circolazione dei beni, alla libertà di testare e creando una ingiusta disparità tra i figli [3].
Tuttavia, il fedecommesso esprimeva un'esigenza ancora vivamente sentita, purchè fosse contenuto in precisi limiti soggettivi ed oggettivi, esso poteva essere utilizzato per la creazione di nuova ricchezza, quale strumento idoneo ad impedire gli sperperi dei figli e consentire la continuità e la conservazione del patrimonio domestico.
Sulla base di tali motivazioni, il legislatore del 1942 reintrodusse l'istituto fedecommissario prevedendone soltanto due forme: il fedecommesso familiare e quello di beneficenza [4].
Oggi, la sostituzione fedecommissaria ha subito profonde modifiche che hanno mutato in modo radicale la sua funzione divenuta essenzialmente assistenziale.
La legge n. 151 del 1975 di riforma del diritto di famiglia ha, infatti, modificato l'istituto fedecommissario, incidendo non solo sugli elementi strutturali, ma anche sul suo contenuto, alterandone quindi la ratio [5].
Secondo la nuova disciplina, istituito fedecommissario può essere esclusivamente una persona interdetta, o da interdire, e sostituito la persona o l'ente che di esso abbiano avuto effettiva cura.
Questa la ragione attuale della sostituzione fedecommissaria: assicurare, di fatto, incentivandola, la cura dell'incapace [6].
L'utilità e la giustificazione del fedecommesso si spostano quindi da un piano familiare ad uno sociale; solo ragioni di carattere assistenziale hanno quindi indotto il legislatore a mantenere in vita un'istituto già cancellato nei diversi progetti di riforma, in quanto non più rispondente alla coscienza sociale [7].
In base alle riforme apportate dalla legge n. 151 del 1975, il nuovo disposto dell'art. 692 c.c. così recita:
"Ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell'interdetto possono istituire rispettivamente il figlio, il discendente, o il coniuge con l'obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell'interdetto medesimo.
La stessa disposizione si applica nel caso del minore di età, se trovasi nelle condizioni di abituale infermità di mente tali da far presumere che nel termine indicato dall'art. 416 c.c. interverrà la pronuncia di interdizione.
Nel caso di pluralità di persone o enti di cui al primo comma i beni sono attribuiti proporzionalmente al tempo durante il quale gli stessi hanno avuto cura dell'interdetto.
La sostituzione è priva di effetto nel caso in cui l'interdizione sia negata o il relativo procedimento non sia iniziato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età del minore abitualmente infermo di mente. E' anche priva di effetto nel caso di revoca dell'interdizione o rispetto alle persone o agli enti che abbiano violato gli obblighi di assistenza.
In ogni altro caso la sostituzione è nulla."
I.2 - NATURA GIURIDICA DELL'ISTITUTO FEDECOMMISSARIO
In base al radicale mutamento determinato dalla legge n. 151 di riforma del diritto di famiglia, la sostituzione fedecommissaria risulta caratterizzata da una doppia vocazione in ordine successivo, con l'obbligo imposto all'istituito di conservare e restituire alla sua morte, in tutto o in parte, i beni a favore di determinati enti o soggetti che di lui si siano presi cura.
Essa si presenta, quindi, oltre che come figura eccezionale [8], visto il generale divieto disposto dall'ultimo comma dell'art. 692 c.c. che sancisce la nullità di ogni altra ipotesi di sostituzione diversa da quella consentita, come fattispecie complessa, nella quale il primo elemento costitutivo è rappresentato dalla volontà del testatore, il secondo da una circostanza di fatto: la cura dell'incapace.
Accanto alla volontà del testatore, che nella disciplina precedente rivestiva un ruolo di esclusivo rilievo, viene quindi ad affiancarsi un ulteriore elemento rappresentato dall'assistenza in favore dell'incapace, il quale modifica sostanzialmente la ratio del fedecommesso ponendone in risalto la funzione assistenziale [9].
La cura, che quindi assume un rilievo tutt'altro che marginale all'interno della fattispecie fedecommissaria, deve rivestire il carattere dell'effettività e dell'oggettività, nel senso che deve essere concretamente prestata e non deve essere occasionale o contingente, ma continuativa, integrandosi, altrimenti, un'ipotesi di inefficacia della sostituzione stessa [10].
Il nuovo fondamento che la legge n. 151/75 attribuisce alla sostituzione fedecommissaria, pur riflettendosi sul problema della sua natura giuridica, lascia, tuttavia, inalterati i tre elementi tradizionali che la caratterizzano: doppia istituzione, ordine successivo, obbligo di conservare e restituire. Infatti, il testatore dispone dell'eredità a favore di due o più soggetti diversi con due autonome disposizioni ed in ordine di successione cronologica; il che è da intendere nel senso che sia l'istituito che il sostituito siano entrambi eredi diretti del de cuius, succedendo il sostituito automaticamente alla morte del primo chiamato [11].
Una sistematica ormai tradizionale, in considerazione del regime dei beni oggetto della sostituzione, vuole che l'indagine sulla natura giuridica del fedecommesso venga affrontata sotto il profilo della situazione soggettiva dei chiamati ed in particolare dell'istituito [12].
Ex art. 692 c.c. I co. l'istituito ha "l'obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni", il che pone rilevanti problematiche inerenti alla posizione giuridica di cui egli sia titolare.
Nessun contributo è possibile ricavare dai lavori preparatori, i quali si riducono a porre in luce che varie tendenze si manifestarono in seno alla Commissione, da quella di una proprietà limitata o risolubile [13] a quella del riconoscimento di una proprietà utile [14]. La posizione dell'istituito appare quindi alquanto confusa.
La dottrina meno recente [15], richiamandosi alla tradizione romanistica, riteneva l'istituito titolare di una proprietà fiduciaria, basandosi sulla considerazione che il primo chiamato avesse l'obbligo di natura fiduciaria di conservare i beni e restituirli al sostituito. Ma la fides di tipo romanistico si realizzava attraverso un atto autonomo, con il quale il fiduciario, dietro preghiera del testatore, ritrasferiva i beni al beneficiario della disposizione. Nel fedecommesso odierno manca, invece, non solo qualsiasi rapporto di tipo fiduciario ma anche un atto autonomo di ritrasferimento, seguendo la devoluzione dell'eredità al sostituito automaticamente alla morte del primo chiamato (art. 696 c.c. I co.).
Secondo un'altra teoria [16] la posizione dell'istituito va identificata con quella dell'usufruttuario, ovvero di titolare di un generico diritto reale su cosa altrui. Infatti, l'art. 693 c.c. all'ultimo comma così recita: "all'istituito sono comuni, in quanto applicabili le norme concernenti l'usufruttuario".
Ma, ad una più attenta analisi della disposizione si evince come, proprio in virtù di essa, si possa escludere che tra le due situazioni soggettive vi sia assoluta identità [17], sussistendo, invece, una semplice analogia. La norma, infatti, espressamente sancisce l'applicabilità della disciplina dell'usufrutto solo nei limiti della compatibilità.
Inoltre, c'è da osservare che, se effettivamente la sostituzione fedecommissaria consistesse nella disposizione dei beni ereditari a titolo di usufrutto a favore dell'istituito, e di nuda proprietà a favore del sostituito, così ricalcando la medesima disciplina dettata per l'usufrutto, si ricadrebbe nel generale divieto sancito dall'ultimo comma dell'art.692 c.c., per cui un tale tipo di disposizione sarebbe vietata come fedecommesso. Quindi, risulta ancor più evidente la mancanza di identità tra la posizione dell'istituito e quella dell'usufruttuario: la medesima disciplina non può trovare applicazione nei confronti di due istituti, che seppur presentano delle analogie sono, in realtà, diversi.
Infine, i poteri che la legge riconosce all'istituito eccedono notevolmente quelli propri dell'usufruttuario, potendo il primo, a differenza di quest'ultimo, alienare i beni fedecommessi in caso di "utilità evidente", compiere innovazioni, stare in giudizio per le azioni concernenti la proprietà.
Notevoli adesioni ha invece ricevuto la tesi secondo cui l'istituito sia titolare di un diritto di proprietà temporanea [18], soprattutto in seguito all'acceso dibattito riguardante l'ammissibilità del carattere temporaneo del diritto di proprietà [19], risolto positivamente da notevole parte della dottrina.
Si riteneva, infatti, che fosse la legge stessa ad apporre un termine finale per la prima istituzione, ed uno iniziale per la seconda.
Tuttavia, anche questa tesi è stata oggetto di numerose critiche in base alla considerazione che l'accoglimento di essa comporterebbe la violazione di diversi principi giuridici quali quello del semel heres semper heres, oltre a quello enunciato dall'art. 637 c.c., per il quale il termine deve considerarsi come non apposto ad una disposizione a titolo universale [20].
Inoltre, si verificherebbe un evidente contrasto con la disciplina codicistica, in particolare dell'art. 696 c.c., in quanto per realizzarsi l'effetto devolutivo, non basta la morte dell'istituito-primo chiamato, ma è altrettanto necessaria la sopravvivenza del sostituito e la esecuzione da parte sua di tutte le cure di cui l'incapace abbia bisogno, entrambi elementi essenziali per integrare la fattispecie della devoluzione dell'eredità o legato al secondo chiamato [21].
All'istituito-interdetto, pertanto, non viene attribuita una proprietà limitata nel tempo, ma, secondo la tesi che deve considerarsi prevalente [22], una proprietà sottoposta a condizione risolutiva. Egli acquista un diritto di proprietà non strutturalmente temporaneo, ma solo eventualmente transitorio [23]. Infatti, la sopravvivenza del sostituito presenta l'incertezza sull'an, caratteristica della condizione, mentre la morte dell'istituito, incerta solo sul quando, costituisce il momento cronologico dell'avverarsi della condizione, così permettendo il verificarsi dell'effetto sostitutivo.
L'istituito è, dunque, titolare di un diritto di proprietà risolubile, in quanto destinato a risolversi e a trasformarsi in diritto "pieno" solo al momento dell'avverarsi della condizione, che nel fedecommesso è, appunto, rappresentata dalla sopravvivenza del sostituito all'istituito, e dall'esecuzione da parte del primo delle cure necessarie di cui l'incapace abbia avuto bisogno.
Come accade in ogni trasferimento condizionato entrambe le parti hanno, tuttavia, la possibilità di ottenere la proprietà definitiva dei beni fedecommessi, secondo che si avveri o meno la condizione; per cui in pendenza di essa non può attribuirsi la "piena" titolarità del diritto di proprietà né al proprietario interinale, né al titolare dell'aspettativa [24].
Trova in tal modo giustificazione l'obbligo dell'istituito di conservare i beni fedecommessi, il quale risulta essere un obbligo puro e semplice, in quanto destinato a regolare, durante la pendenza, il comportamento dell'istituito a tutela dell'aspettativa del sostituito, e dal quale discendono una serie di limiti alla libera disponibilità dei beni ereditari proprio per mantenere integre le ragioni dell'altra parte. Pertanto, ad essere effettivamente condizionato all'avveramento della condizione è solo l'obbligo di restituire e non quello di conservare, che in quanto tale è attuale e incondizionato.
Tuttavia, un ostacolo si frapponeva al pieno accoglimento di tale teoria, e cioè quello dell'effetto retroattivo tipico della condizione, il quale non avrebbe potuto conciliarsi con il diritto di proprietà dell'istituito facendolo venir meno ex tunc e togliendo così efficacia alla prima chiamata.
La dottrina [25] ha, però, superato tale difficoltà escludendo nel caso specifico la retroattività della condizione configurando una speciale combinazione tra condizione e termine.
Infatti, la condizione irretroattiva non sarebbe altro che una condizione alla quale viene apposto un termine che regola il momento in cui debbono considerarsi iniziati o cessati gli effetti del negozio.
In realtà, nel nostro ordinamento il realizzarsi della retroattività degli effetti della condizione costituisce una regola generale, ma non assoluta. La condizione tende ad incidere sull'"an" degli effetti giuridici, non rilevando quindi il "quando" degli effetti medesimi: l'art. 1360 c.c., col sancire in via di principio la retroattività della condizione, non fa che attuare la normale contemporaneità fra la posizione del precetto negoziale e la sua efficacia. Ma, tale contemporaneità può essere derogata dalle parti mediante l'apposizione di un termine, così nel negozio sottoposto a condizione, come nel negozio puro.
Sotto l'apparente unità della condizione irretroattiva, si avrà dunque una duplice clausola accidentale, e cioè una condizione e un termine.
Per cui, nei confronti dell'istituito fedecommissario, si ha una vera e propria istituzione sottoposta a condizione risolutiva e, contemporaneamente, ad un termine che fissa il momento a partire dal quale debbono eventualmente cessare gli effetti della prima istituzione: ciò conferma il diritto di proprietà risolubile di cui l'istituito-interdetto risulta, in definitiva, essere titolare.
I.3 - GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA FATTISPECIE FEDECOMMISSARIA
La sostituzione fedecommissaria, nel caso eccezionale in cui risulta consentita, è caratterizzata strutturalmente da tre elementi che la identificano: doppia vocazione, ordine successivo, obbligo di conservare e restituire.
Essa contiene, infatti, una "duplice chiamata" di due soggetti, che "successivamente" subentrano nella medesima eredità o legato.
Mentre nella sostituzione ordinaria, pur essendovi due istituzioni, solo una è destinata a produrre effetto, in quella fedecommissaria tutte sono destinate a divenire efficaci, anche se in momenti successivi [26]. Infatti, le vocazioni sono immediate, sia a favore dell'istituito che del sostituito, mentre la delazione dell'eredità o del legato è rispettivamente immediata per il primo e successiva, destinata cioè a rinnovarsi alla morte dell'istituito, per il secondo.
Si hanno, quindi, due successivi titolari della medesima eredità, in cui il sostituito è erede diretto del testatore in quanto succede automaticamente, al momento e per effetto della morte del primo chiamato, nello stesso patrimonio oggetto della prima delazione [27].
Infine, l'obbligo di "conservare e restituire" i beni fedecommissari che grava sull'istituito, preservando l'aspettativa del secondo chiamato, consente la completa realizzazione della fattispecie fedecommissaria.
Pertanto, in considerazione di tali elementi costitutivi si può rilevare [28] che non costituiscono ipotesi di fedecommesso i casi in cui la doppia vocazione non rifletta i medesimi beni in proprietà; nonchè le disposizioni separate di usufrutto e nuda proprietà, giacchè in tal caso si hanno due istituzioni egualmente dirette e immediate; né le disposizioni fatte a favore dell'istituito sotto condizione sospensiva o risolutiva, i cui beni si devolgono al sostituito solo se la prima viene a mancare o la seconda si verifica. In tal caso, infatti, è evidente, che se i beneficiari ricevono i beni direttamente e immediatamente dal testatore, viene a mancare il doppio ordine successorio e quindi un elemento necessario per l'esistenza del fedecommesso.
I.4 - I SOGGETTI
Dal disposto dell'art. 692 c.c. si evince che i soggetti coinvolti nella fattispecie fedecommissaria sono tre: il disponente, l'istituito e il sostituito.
Il disponente può assumere sia la veste di testatore, nel caso di disposizione di ultima volontà (testamento o legato), sia quella di donante, nel caso in cui si disponga una sostituzione fedecommissaria ex art.795 c.c.. In ogni caso, egli deve essere legato all'istituito da un particolare vincolo familiare; infatti, la legge espressamente prevede la possibilità di istituire eredi unicamente il figlio o il coniuge.
La complementarità della posizione del disponente con quella dell'istituito induce a trattare le questioni esegetiche dal punto di vista di quest'ultimo. Pertanto, passiamo ad esaminere, separatamente ed in dettaglio, le problematiche riguardanti gli altri soggetti che caratterizzano il fedecommesso: l'istituito e il sostituito.
I.4.1 - L'ISTITUITO
Iniziando l'analisi dei soggetti coinvolti nella sostituzione fedecommissaria dall'istituito, è opportuno richiamare l'attenzione sul disposto dell'art. 692 c.c. I co., in base al quale il disponente può istituire eredi solo i figli, nonchè il coniuge che siano "INTERDETTI".
L'istituito deve, quindi, necessariamente essere un interdetto giudiziale e, come si evince chiaramente dai commi II e IV dell'art. 692 c.c., per "infermità di mente". Tuttavia, tale disposizione non va interpretata restrittivamente poichè, tenendo conto dello spirito informatore della novella, potrebbe ritenersi [29] legittima anche l'istituzione di quei soggetti, che in quanto sordomuti o ciechi dalla nascita, siano del tutto incapaci di provvedere alla cura dei loro interessi (art. 415 c.c.). Infatti, la finalità dell'istituto fedecommissario si rinviene proprio nella necessità di assicurare una effettiva assistenza ai soggetti incapaci di provvedere ai loro bisogni [30].
Inoltre, ex art. 692 c.c. II co., istituito fedecommissario può essere anche un minore di età che si trovi nelle condizioni di abituale infermità tali da far presumere che nell'ultimo anno della sua minore età, intervenga la pronuncia di interdizione. Tale disposizione, che così interpretata, in nulla si diversificherebbe dall'art. 416 c.c., va quindi necessariamente collegata al successivo IV co. dell'art. 692, dal quale si rileva che il procedimento di interdizione può essere "iniziato", su istanza dei soggetti legittimati, entro due anni dal raggiungimento della maggiore età del minore abitualmente infermo di mente. Di conseguenza ai fini dell'efficacia della istituzione fedecommissaria è sufficiente che il procedimento di interdizione sia iniziato entro il biennio, anche se l'interdizione venga pronunciata dopo l'apertura della successione [31].
Giunti a questo punto, è interessante rilevare che il procedimento di interdizione dell'istituito-incapace, può essere promosso, ex art. 417 c.c., "dal coniuge, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero". In considerazione di ciò, qualora la persona indicata dal testatore come sostituito sia un soggetto estraneo all'ambito familiare, e pertanto escluso dai soggetti legittimati ex art. 417 c.c., difetterebbe della relativa legittimazione a proporre personalmente l'azione di interdizione dell'istituito. Questa situazione comprometterebbe, quindi, la realizzazione della sostituzione disposta dal de cuius, in quanto i soggetti legittimati ex art. 417 c.c., allo scopo di beneficiare essi stessi dell'eredità (su cui altrimenti non vanterebbero nessun diritto), non avrebbero alcun interesse a proporre l'azione di interdizione, così contravvenendo alla volontà del de cuius e sopprattutto non considerando gli interessi dell'incapace [32].
In mancanza di norme di coordinamento tra le varie previsioni, si ritiene [33], quindi, sussistente la facoltà del sostituito, sia esso un estraneo o un ente, di sollecitare il Pubblico Ministero affinchè sia esso a promuovere l'azione di interdizione, evitando così che il mancato inizio del procedimento renda inefficace la sostituzione fedecommissaria (art. 692 c.c. ult. co.).
L' istituito può essere figlio o coniuge del testatore.
Rispetto alla disciplina dettata dall'art. 692 c.c. prima della riforma rimangono, pertanto, esclusi dalla fattispecie fedecommissaria i fratelli e le sorelle del de cuius.
Il termine "figlio", non può non essere inteso nel senso più ampio, ricomprendente cioè oltre ai figli legittimi, i legittimati, gli adottivi, i figli naturali riconosciuti.
Problematica risulta, invece, l'inclusione dei figli naturali non riconoscibili (art. 251 c.c.), i quali non avendo lo status di figli non rientrerebbero nella categoria dei soggetti istituibili [34]. La questione va risolta in riferimento al contesto specifico in cui si inquadra, muovendo cioè dalla posizione successoria, assicurata al figlio non riconoscibile, di legatario ex lege per l'assegno vitalizio lui spettante, nel caso in cui il genitore non avesse disposto per donazione o testamento in suo favore (art. 580 c.c.).
Sulla base di tale disciplina, il fatto della procreazione non rimane privo di rilevanza giuridica, anzi è la legge stessa ad assicurare anche ai figli non riconoscibili una posizione equiparabile a quella dei figli legittimi nel caso in cui, pur potendo ricevere per testamento, nessuna disposizione sia effettuata a loro beneficio.
Si afferma in tal modo la natura successoria e non meramente alimentare dell'assegno vitalizio [35].
Pertanto, anche ai fini della sostituzione fedecommissaria si può ritenere che il vincolo naturale derivante dalla procreazione assuma rilevanza e riceva tutela, rendendo, così, ammissibile l'istituzione anche di un figlio naturale non riconoscibile.
Tale soluzione trova, inoltre, conferma [36] nella Carta Costituzionale secondo cui "la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti della famiglia legittima" (art. 30 Cost.), nonchè nelle motivazioni assistenziali che caratterizzano il fedecommesso.
Secondo il disposto dell'art. 692 c.c. può, inoltre, essere istituito fedecommissariamente il coniuge.
Sono considerati coniugi le persone che hanno contratto matrimonio civile o canonico con effetti civili, sino all'eventuale annullamento o scioglimento del vincolo; poichè nel nostro ordinamento l'interdetto per infermità di mente non può contrarre matrimonio civile ex art. 85 c.c. e, se contraesse matrimonio canonico, questo sarebbe privo di effetti civili, non potendo essere trascritto nei registri dello stato civile, si ritiene [37] che il riformatore, nel prevedere l'istituzione fedecommissaria del coniuge, abbia fatto riferimento solo all'ipotesi in cui l'interdizione sia intervenuta dopo il matrimonio.
I.4.2 - IL SOSTITUITO
Il sostituito è individuato dalla legge nella persona o nell'ente che, sotto la vigilanza del tutore, ha avuto cura dell'interdetto.
Prima di procedere all'individuazione degli enti che si ritiene possano rientrare nella previsione legislativa, è opportuno affrontare il problema dello spazio che la disposizione normativa fedecommissaria lascia al disponente in ordine alla scelta del sostituito [38].
Bisogna, pertanto, verificare se la designazione del beneficiario sia fatta per "relationem" direttamente dalla legge (con la conseguenza che vengono nominati come sostituiti la persona o l'ente che effettivamente abbiano avuto cura dell'incapace), oppure si possa escludere una così rilevante restrizione alla libera volontà del de cuius, lasciandogli la possibilità di scelta.
Tale problematica, poi, si allarga ricomprendendo anche la possibilità che il testatore possa disporre, mediante l'apposizione di un modus afferente all'istituzione del primo chiamato, che la cura e l'assistenza dell'incapace vengano esercitate in una certa maniera [39].
La dottrina dominante [40] nega che la disciplina in esame possa intendersi come totale negazione dell'autonomia del testatore, al quale, pertanto, viene riconosciuta la possibilità di designare, non solo l'istituito-interdetto, ma anche di scegliere liberamente il sostituito nella persona che ritiene più idonea per assicurare una migliore assistenza all'incapace. Ciò trova conferma nel fatto che l'istituto fedecommissario è strutturato come fattispecie complessa, i cui elementi essenziali sono costituiti oltre che dalla cura dell'incapace, anche dalla volontà del testatore, per cui nulla può indurre a ritenere mortificata fino a tal punto l'autonomia negoziale del de cuius, impedendogli di beneficiare determinati soggetti anzichè altri.
Non ogni persona che di fatto abbia avuto cura dell'interdetto ha, per ciò stesso, diritto alla sostituzione, nè questa può aver luogo solo in base a quel fatto; l'effetto sostitutivo trova la sua radice nell'atto di volontà: non esiste, pertanto, una sostituzione fedecommissaria legale [41].
In questa prospettiva, che lascia quindi spazio alla libera determinazione del disponente, trovano giustificazione anche le modalità relative al concreto esercizio della cura dell'incapace che il testatore potrà, quindi, imporre al sostituito a pena di inefficacia della sostituzione stessa. Si tratterà di modalità specifiche attraverso le quali il disponente potrà indicare il modo in cui effettivamente debbano realizzarsi l'assistenza e la cura dell'istituito-interdetto.
Secondo la disposizione normativa sostituito può essere una persona fisica o un ente.
Mentre la vecchia disciplina ricomprendeva i soli enti pubblici, la dizione attuale dell'art. 692 c.c. non richiede più tale caratteristica, riferendosi omnicomprensivamente ad ogni tipo di ente, pubblico o privato, riconosciuto o meno come persona giuridica [42].
Tuttavia, in relazione agli enti che possono beneficiare della sostituzione, un'isolata dottrina [43] ritiene di escluderne alcuni aventi particolari caratteristiche.
Si ritiene, infatti, che non si possa disporre a favore di enti, che assumono la cura dell'incapace nell'ambito di un'organizzazione professionale rivolta in maniera stabile e con "finalità di lucro" allo svolgimento di tale attività, quale ad esempio quella svolta da una clinica privata. In tal caso, il fine di lucro si porrebbe, infatti, in contrasto con la ratio legis del fedecommesso.
Tuttavia, il medesimo orientamento [44] ammette, però, che la cura dell'interdetto possa essere effettuata da persone o enti, che "personalmente" prestino assistenza all'incapace anche dietro "retribuzione", per cui l'elemento discriminante di tale tesi risiederebbe, non tanto nel criterio della redditività dell'opera prestata per la cura dell'istituito, quanto nella presenza di un'attività e di un lucro commerciale, che da soli risulterebbero incompatibili con le finalità assistenziali dell'istituto fedecommissario.
Non sembra, tuttavia, che tali conclusioni siano da condividersi. Nella legge non si rinvengono elementi volti a penalizzare gli enti che svolgono la loro attività con finalità lucrative, ed inoltre, non si vede perchè essi non potrebbero essere ulteriormente incentivati alla cura dell'incapace, dall'interesse a conseguire i beni fedecommessi [45]. La stessa estensione legislativa nei confronti degli enti in genere, operata dal nuovo disposto dell'art. 692 c.c., verrebbe svuotata di contenuto.
Allo stesso modo appare ingiustificata l'esclusione dal beneficio del fedecommesso di quegli enti "morali", quali i manicomi, che "istituzionalmente" provvedono alla cura degli incapaci. Si ritiene [46], infatti, che in caso di ricovero in un manicomio dipendente dalla Pubblica Amministrazione, l'efficienza e l'effettività della cura prestata al malato fossero garantite, in astratto, da una serie di disposizioni alle quali non potrebbe apportare alcuna modificazione il beneficio della sostituzione disposto dal testatore; ma, anche in tal caso, non si vede perchè l'ente pubblico dovrebbe essere sottoposto ad un trattamento deteriore rispetto a tutti gli altri enti, anzi, ben potrebbe il manicomio usufruire dei lasciti dei privati, visto che tra l'altro anche l'ordinamento tende a favorire tali liberalità [47].
Le difficoltà in ordine all'individuazione del beneficiario non si esauriscono qui. L'articolo 692 I co. c.c. statuisce che la cura dell'interdetto, da parte del sostituito, debba avvenire "sotto la vigilanza del tutore".
La ratio della norma tende a far sì che la cura dell'incapace si eserciti in modo da tendere, effettivamente, alla soddisfazione dei suoi bisogni, evitando iniziative arbitrarie che lo possano danneggiare. Nella previsione legislativa, si coglie, pertanto, una contrapposizione tra persone o enti che hanno "cura" dell'interdetto, ed il fatto che tale cura debba avvenire sotto la "vigilanza" del tutore, evidenziando una alterità fra colui che effettua la "cura" ed il tutore che "vigila".
A questo punto ci si chiede: può la dicotomia "cura-vigilanza" essere sintomo di incompatibilità tra l'ufficio di tutore e la veste di sostituito?
Dal tenore della norma, taluno [48] desume che vi sia incompatibilità, ritenendo, pertanto, necessaria la rinuncia all'incarico di tutore per poter beneficiare dell'eredità in qualità di sostituito; altra parte della dottrina [49] ritiene, invece, che vi possa essere identificazione tra sostituito e tutore non sussistendo una ragione sufficiente per determinare un trattamento sfavorevole nei confronti di colui che, "istituzionalmente", è demandato a provvedere alla cura e alla rappresentanza dell'incapace.
Tuttavia, ammettendo al beneficio fedecommissario anche il tutore, possono sorgere dei conflitti di interesse dovuti proprio alla coincidenza nella stessa persona delle due funzioni della cura e vigilanza; tale conflitto, però, trova risoluzione nell'ordinamento giuridico alla luce del disposto dell'art. 360 I co. c.c., che disciplina la figura del protutore chiamato a rappresentare il minore, proprio nei casi in cui l'interesse di questi, sia in opposizione con quello del tutore [50]. Trova così ulteriore conferma la possibile cioncidenza della posizione di tutore con quella di sostituito beneficiario del fedecommesso.
I.5 - L'OGGETTO: I BENI COSTITUENTI LA LEGITTIMA
Prima dell'intervento riformatore del legislatore del '75, la formulazione dell'art. 692 c.c. prevedeva come condicio sine qua non, affinchè la sostituzione fedecommissaria potesse ritenersi lecita, che essa facesse riferimento unicamente ai beni costituenti la disponibile [51]; il testatore poteva, quindi, disporre una sostituzione oggettivamente limitata ai beni costituenti la quota disponibile, pena l'inefficacia della sostituzione stessa.
A seguito della riforma, invece, è espressamente previsto che l'interdetto possa essere istituito con l'obbligo di conservare e restituire, alla sua morte, i beni "anche costituenti la legittima".
Dal dettato del nuovo disposto dell'art. 692 c.c. discende, quindi, un'evidente deroga al principio di intangibilità della legittima espressamente sancito dall'art. 549 c.c. a tutela dei diritti patrimoniali dei più stretti congiunti del de cuius; ciò ha posto delicati problemi in ordine alla legittimità costituzionale di una disposizione siffatta.
Da più parti [52] si è, infatti, denunciata l'illegittimità costituzionale dell'istituto fedecommissario per violazione dell'art. 29 Cost. I co. che riconosce e tutela i diritti della famiglia; nonchè dell'art. 3 Cost. poichè la norma sulla legittima verrebbe a ledere la stessa posizione dell'interdetto, ponendolo in una condizione deteriore. Infatti, a causa della sua condizione personale, l'incapace avrebbe una capacità a succedere diversa e limitata rispetto a quella degli altri cittadini non interdetti.
Prima di giungere a conclusioni affrettate, è opportuno verificare in che misura, nell'attuale normativa, l'intangibilità della legittima è assunta a principio assoluto del nostro ordinamento. Parte della dottrina non individua in capo ai legittimari dell'interdetto una situazione giuridicamente rilevante, ed afferma che ex art. 692 c.c. nessuna discriminazione si può attuare nei confronti dei terzi legittimari, poichè costoro non potrebbero pretendere di ricevere un'aspettativa che superi quella riservata alla posizione del loro, eventuale, dante causa [53].
Tuttavia, la posizione giuridica dei legittimari non può essere accantonata su un piano di secondaria importanza; infatti, lo stesso legislatore si preoccupa di prenderli in considerazione allorquando, nel II comma dell'art. 696 c.c., stabilisce che se le persone o gli enti che hanno avuto cura dell'incapace muoiono o si estinguono prima della morte di lui, i beni ereditari saranno devoluti ai successori legittimi dell'interdetto.
La prima questione da esaminare attiene, quindi, alla presunta assolutezza del principio dell'intangibilità della legittima. Esso trova risoluzione alla luce dell'intero ordinamento, ed in particolar modo con riferimento alle disposizioni costituzionali, che vanno tra loro interpretate sistematicamente.
Il punto di partenza che si deve prendere in considerazione è l'art. 42 co. IV della Costituzione che espressamente rimette al legislatore la potestà di regolare i "limiti" della successione legittima e testamentaria [54]; il che sta appunto a significare che il legislatore, per tutelare interessi ritenuti preminenti, può apporre dei limiti al principio della legittima.
Pertanto, il principio di intangibilità della legittima si relativizza, potendo trovare un limite invalicabile nella realizzazione della personalità umana, valore primo e insopprimibile del nostro ordinamento. Infatti, attraverso un'interpretazione sistematica dell'art. 42 IV co., con il II co. dello stesso articolo, nonchè con gli art. 2, 3 e 41 della Costituzione, norme che hanno tutte come motivo ispiratore lo sviluppo della personalità umana, si può affermare che il diritto dei legittimari può essere "pienamente" garantito solo se si dimostra che si tratti di un diritto della personalità e non, come invece sembra essere, uno strumento per la sua realizzazione [55].
Anche volendo considerare il diritto dei legittimari come diritto della famiglia, riconosciuto dal I co. dell'art. 29 Cost., in quanto titolari di una situazione di derivazione conseguente alla loro appartenenza alla famiglia del successibile, bisogna porre in evidenza il fatto che in ogni caso il diritto dei legittimari è collegato all'interesse a diventare anche titolari di un "quantum" derivante dal patrimonio ereditario, e quindi, solo in via strumentale, tale diritto può dirsi tutelare valori attinenti alla personalità umana.
Il conflitto di interessi fra la situazione giuridica del legittimario e la tutela che, con la sostituzione fedecommissaria, l'ordinamento cerca di assicurare all'interdetto, non può non essere risolto a favore della cura dei bisogni personali dell'incapace.
L'assistenza e la cura dell'interdetto sono stati considerati dal legislatore nel senso di attribuirgli una netta prevalenza, in quanto diritti a tutela della persona, nei confronti dei diritti dei legittimari, che solo strumentalmente rientrano in quella categoria.
Quindi, in coerenza con la ratio dell'istituto fedecommissario, il legislatore ha inteso rafforzare, ulteriormente, la tutela dell'istituito-interdetto.
I.6 - I CASI DI INEFFICACIA
L' art. 692 c.c. comma IV fa riferimento ai casi di inefficacia della sostituzione fedecommissaria.
La legge dispone che la sostituzione non abbia effetto qualora il sostituito violi i propri obblighi di assistenza nei confronti dell'istituito.
Tale motivo di inefficacia si riferisce alla struttura stessa del fedecommesso, inteso quale fattispecie complessa, in quanto la violazione degli obblighi di assistenza comporta il venir meno di quell'elemento essenziale, appunto la cura dell'incapace, che assieme alla manifestazione di volontà del testatore, caratterizzano la struttura del nuovo istituto fedecommissario.
Gli altri casi di inefficacia attengono al procedimento di interdizione.
Presupposto fondamentale dell'operatività della sostituzione è lo stato di interdizione dell'istituito, per effetto della pubblicazione della sentenza ai sensi dell'art. 421 c.c., al momento dell'apertura della successione. Salvo che l'interdicendo sia un minore [56], il principio di costitutività della sentenza comporta, quindi, l'inefficacia della sostituzione tutte le volte che, apertasi la successione, il procedimento non sia ancora concluso.
Anche la revoca della sentenza di interdizione, facendo venir meno lo stato di incapacità, è causa di inefficacia della sostituzione. In tal caso, tenendo conto del suddetto principio di costitutività, l'inefficacia si realizzerà solo quando la sentenza di revoca passi in giudicato, così come richiesto dall'art. 431 c.c., e l'inefficacia permarrà anche nell'ipotesi di una successiva sentenza di interdizione.
Tale interpretazione appare probabilmente eccessivamente rigorosa ove si tenga conto delle finalità dell'istituto. Infatti, la possibilità di garantire all'interdetto le cure necessarie, avrebbe potuto consentire un'interpretazione più ampia, nel senso della parziale efficacia della sostituzione nei confronti di coloro che si siano presi cura dell'istituito durante tutto il periodo della sua interdizione [57].
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