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La sostituzione fedecommissaria | Intro | Cap. I | Cap. II | Cap. III | Cap. IV | Biblio |
III.1 - Situazione giuridica e poteri del sostituito prima della morte dell'istituito
III.2 - Devoluzione dell'eredita' al sostituito
III.3 - Casi di mancata devoluzione dei beni fedecommessi
III.4 - Gli effetti della mancata devoluzione al sostituito in riferimento ai successori dell'istituito
III.5 - L'abrogazione del iv comma dell'art. 696 c.c.
III.6 - La sostituzione fedecommissaria nei legati
III.7 - (segue) - Nelle donazioni
- Note -
III.1 - SITUAZIONE GIURIDICA E POTERI DEL SOSTITUITO PRIMA DELLA MORTE DELL'ISTITUITO
Il I comma dell'art. 696 c.c. identifica il momento della devoluzione al sostituito dell'eredità fedecommessa con quello della morte dell'istituito-interdetto.
Con la morte dell'istituito, si apre pertanto la seconda fase della sostituzione fedecommissaria, caratterizzata, appunto, dalla devoluzione al sostituito. Egli acquista l'eredità in qualità di erede diretto del testatore in virtù del fatto che le vocazioni, sia nei suoi confronti che a favore dell'istituito, sono entrambe immediate.
Il sostituto fedecommissario diviene, quindi, titolare dell'eredità del testatore dopo che ne è stato titolare l'erede-interdetto, e con effetto esclusivamente dalla morte di quest'ultimo. Se, dunque, nei confronti del testatore non vi sono dubbi sulla qualifica che assume il sostituito, dubbi possono aversi sulla qualifica dell'acquisto nei confronti dell'istituito.
Il sostituto è erede del testatore, ma si ritiene [1] che sia anche successore del primo chiamato; infatti, egli acquista l'eredità nella consistenza che l'istituito gli ha impresso con la sua amministrazione.
Non sembra potersi disconoscere, pertanto, che il sostituito succeda al primo chiamato e che tale successione debba qualificarsi come successione a causa di morte, sebbene di secondo grado. Infatti, mentre le vocazioni sono immediate sia per l'istituito che per il sostituito, la delazione dell'eredità risulta essere, immediata e diretta per il primo chiamato, indiretta e condizionata per il secondo. E' indiretta, in quanto per potersi attuare è necessario che sia integralmente realizzata la precedente delazione in favore dell'istituito, ed inoltre che sopraggiunga la sua morte; è condizionata, in quanto subordinata non solo alla sopravvivenza del sostituito all'istituito, ma anche alla prestazione della cura e dell'assistenza dell'incapace, in modo conforme a quanto voluto dal legislatore nel quarto comma dell'art. 692 c.c., ed eventualmente a ciò che sia stato espressamente indicato dal testatore [2].
Il sostituito, prima della devoluzione dell'eredità, è, quindi, titolare di una aspettativa di diritto. Tuttavia, con la soppressione, ad opera della novella, del terzo comma dell'art. 693 c.c., che consentiva al sostituito di esperire misure di carattere conservativo e cautelare, nonché richiedere la nomina di un amministratore giudiziario, è venuto meno l'argomento principale sul quale si fondava la tesi della aspettativa di diritto.
A seguito della riforma, però, il sostituito viene in ogni caso a godere di una posizione giuridicamente rilevante per la funzione assistenziale che è chiamato a svolgere nei confronti dell'istituito-interdetto. Quindi, già con l'apertura della successione, nasce in capo al sostituto una situazione soggettiva passiva, consistente nell'obbligo di curare e assistere l'incapace; tale onere, rappresentando un elemento di efficacia della sostituzione stessa, fa sì che non si possa disconoscere al sostituito, medio tempore, una situazione soggettiva giuridicamente rilevante.
Essendo titolare di una situazione preliminare [3], i poteri di cui il sostituito dispone attengono alla possibilità di provocare la rimozione d'ufficio del tutore che male amministri il patrimonio in fedecommesso ex art. 384 c.c., nonché promuovere direttamente tutte le azioni conservative, e le azioni possessorie in base a quanto disposto dall'art. 460 c.c., che trova applicazione nei suoi confronti in quanto erede diretto del testatore.
Inoltre, al sostituito è riconosciuto il diritto di proporre, nei confronti dell'istituito che non abbia accettato l'eredità, l'actio interrogatoria prevista dall' art. 481 c.c. . Questa disposizione assumeva maggior rilievo nell'ambito della disciplina preesistente. Infatti, l'abrogazione dell'ultimo comma dell'art. 696 c.c., secondo cui "se l'istituito premuore al testatore...o rinunzia, l'eredità si devolve al sostituito, con effetto dal momento della morte del testatore", ha reso inutile il ricorso all'actio interrogatoria da parte del sostituito, in quanto, la mancata accettazione dell'eredità da parte dell'istituito, non ha più come conseguenza la devoluzione dei beni ereditari direttamente in favore del sostituito, ma comporta il venir meno della fattispecie fedecommissaria, non verificandosi gli elementi essenziali che la caratterizzano. Tuttavia, il sostituito potrebbe comunque avere interesse ad esperire l'actio interrogatoria, quanto meno per liberarsi dall'incertezza sull'opportunità di adempiere o meno l'onere di assistenza a favore dell'istituito-interdetto [4].
Sempre in relazione ai poteri di cui il sostituito fedecommissario risulta essere titolare prima della morte dell'erede-interdetto, si è discusso della possibilità che egli accetti l'eredità prima del termine disposto dall'art. 696 c.c. e che possa disporne, anche se i relativi atti di alienazione verrebbero a produrre i loro effetti soltanto a decorrere dal momento della delazione al secondo chiamato [5].
La questione trova sicuramente risposta negativa, in quanto è inammissibile ritenere che il sostituito possa compiere una valida accettazione in base ad una delazione non ancora avveratasi; inoltre, visto il carattere successorio dell'acquisto del sostituito nei confronti dell'istituito, si deve escludere che il secondo chiamato possa disporre dei beni oggetto della sostituzione prima della morte dell'incapace, non essendosi ancora aperta la successione. Non bisogna, infine, dimenticare che la delazione al sostituito è sottoposta alla condicio iuris della sopravvivenza all'istituito, condizione che può avverarsi solo alla morte di quest'ultimo; di conseguenza solo in tale momento sorge per il sostituito il diritto di accettare l'eredità, ed inizia a decorrere il termine decennale di prescrizione [6].
III.2 - DEVOLUZIONE DELL'EREDITA' AL SOSTITUITO
Al momento della morte dell'istituito acquista efficacia la delazione a favore del sostituito, che abbia avuto cura dell'incapace.
Il sostituto diventa, con l'accettazione, "erede definitivo" del testatore, e quindi, subentra, con carattere di definitività, nella titolarità delle situazioni giuridiche trasmissibili facenti capo al de cuius.
L'accettazione dell'eredità può essere effettuata in qualsiasi forma, salvo che si tratti di enti per i quali l'art. 471 c.c. prescrive l'obbligo di accettare con il beneficio d'inventario.
La titolarità dei beni fedecommessi produce la nascita, in capo al sostituto, di una serie di rapporti obbligatori con gli eredi dell'istituito, in base ai quali il sostituto sarà tenuto al pagamento dell'indennità o al rimborso delle somme da lui dovute per addizioni o miglioramenti apportati dall'istituito, nonché al pagamento delle spese straordinarie e dei debiti ereditari adempiuti con mezzi patrimoniali propri dell'istituito.
Gli eredi dell'incapace, invece, saranno tenuti alla consegna dei beni fedecommessi, e del controvalore o tantundem eiusdem generis delle cose consumabili non più esistenti, oltre all'eventuale risarcimento dei danni per deterioramenti, o per atti di disposizione non ritualmente autorizzati, imputabili all'istituito [7].
Nel caso in cui siano stati designati una pluralità di sostituiti, a seguito dell'accettazione dell'eredità, dovranno essere determinate le quote spettanti a ciascuno nei termini fissati dall'art. 692 c.c.. Può accadere che uno solo dei sostituti abbia accettato, e che i diversi periodi di assistenza diano luogo a quote di eredità differenti. In tal caso, per ottenere la pars bonorum corrispondente alla sua quota, il sostituito che abbia accettato dovrà chiedere la divisione giudiziale contro il curatore dell'eredità giacente ex art. 528 c.c. [8].
Infine, altra conseguenza di rilievo dell'accettazione dell'eredità consiste nella confusione del patrimonio personale del sostituto con quello del de cuius; ciò comporta che il sostituto risponderà di tutti i debiti ereditari, salvo l'ipotesi in cui l'accettazione sia avvenuta con il beneficio d'inventario.
III.3 - CASI DI MANCATA DEVOLUZIONE DEI BENI FEDECOMMESSI
La seconda parte dell'art. 696 c.c. contempla un'ipotesi di mancata devoluzione dei beni fedecommissari, e precisamente il caso di premorienza del sostituto rispetto all'istituito.
La sopravvivenza del sostituto, infatti, rappresenta, insieme alla prestazione di cure all'incapace, evento condizionante per il perfezionarsi della fattispecie fedecommissaria, in assenza del quale il legislatore ha espressamente disposto che l'eredità sarà devoluta ai successori legittimi dell'istituito.
Potrebbe sembrare contrario alla logica il fatto che il sostituto, che premuoia al primo chiamato, non consegua alcunché, pur avendo semmai prestato assistenza all'incapace per un lungo periodo di tempo; ma, tenendo conto della struttura dell'istituto fedecommissario, il legislatore sembra indiscutibilmente orientato in tal senso.
Un ulteriore problema si pone in relazione al diritto al rimborso della spese sostenute per assistere l'incapace, ogni qual volta per una ragione qualsiasi al sostituito non si devolva l'eredità.
Si potrebbe, in tal caso riconoscere al sostituito, quanto meno sotto il profilo dell'ingiustificato arricchimento, il rimborso di tutte le spese necessarie ed utili, di cui egli si sia fatto carico, per l'attività di assistenza dell'incapace, anche se potrebbe obiettarsi che sul sostituito gravi comunque una certa alea, non potendo la devoluzione rappresentare in senso giuridico la remunerazione dell'assistenza prestata [9].
Anche nel caso in cui sostituito fedecommissario fosse un ente, la mancata sopravvivenza di esso all'incapace farebbe ugualmente venir meno l'effetto devolutivo. Tale ipotesi si realizza, sia in caso di estinzione che in caso di fusione dell'ente-sostituito fedecommissariamente con altro ente. La medesima situazione sembra, invece, non valere in caso di trasformazione, in quanto si ritiene [10] che essa faccia comunque sopravvivere l'ente.
Tuttavia un'isolata dottrina ritiene [11] che, qualora la trasformazione dell'ente sia tale da farlo risultare non più idoneo allo svolgimento della assistenza dell'incapace, oppure sia di tale entità da far "interrompere la continuità nell'individuazione dell'ente", anche l'ipotesi di trasformazione comporti il mancato realizzarsi dell'effetto devolutivo dell'eredità fedecommessa.
Un'ulteriore ipotesi di mancata devoluzione dell'eredità, non espressamente prevista dall'art. 696 ult. co. in esame, è rappresentata dalla violazione degli obblighi di assistenza incombenti sul sostituito.
In realtà, a ben vedere, tale ipotesi è contemplata dall'art. 692 c.c. ultimo comma tra i casi di inefficacia della sostituzione fedecommissaria. Ciò significa che nel caso in cui il sostituto fedecommissario violi gli obblighi di assistenza e cura dell'incapace, l'intera fattispecie fedecommissaria diviene inefficace, con la conseguenza che fin dall'apertura della successione l'istituito-interdetto acquisterebbe la piena e definitiva titolarità dei beni ereditari.
Tale situazione non risulta, tuttavia, appagante allorquando il testatore abbia designato una pluralità di sostituiti fedecommissari, nei cui confronti i beni ereditari dovranno essere attribuiti proporzionalmente al tempo durante il quale essi si siano presi cura dell'incapace (art. 692 c.c. III co.). In tal caso, infatti, la violazione degli obblighi di assistenza da parte di uno dei sostituiti, non può considerarsi causa di inefficacia della sostituzione anche nei confronti degli altri, che tali obblighi non abbiano violato. Per cui, deve concludersi che nel caso di pluralità di sostituiti, la violazione degli obblighi di assistenza da parte di uno faccia venir meno la devoluzione dell'eredità solo nei suoi confronti, non configurandosi, pertanto, un'ipotesi di inefficacia che investa anche gli altri.
La disciplina che, quindi, trova applicazione in tal caso è quella prevista dall'art. 696 c.c., che così risulta essere una norma diretta a disciplinare tutte le fattispecie in cui non si apre la fase devolutiva della sostituzione fedecommissaria, anche quando non sono espressamente previste dal legislatore [12].
III.4 - GLI EFFETTI DELLA MANCATA DEVOLUZIONE AL SOSTITUITO IN RIFERIMENTO AI SUCCESSORI DELL'ISTITUITO
Ai sensi dell'ultimo inciso dell'art. 696 c.c., in tutte le ipotesi di mancata devoluzione dei beni fedecommessi al sostituito subentreranno, i successori legittimi dell'istituito.
Il mancato riferimento anche ai successori testamentari deve considerarsi [13] come una disattenzione del legislatore, il quale non ha considerato l'ipotesi che l'istituito abbia potuto redigere un valido testamento prima del sopravvenire dello stato di interdizione.
In relazione ai successori dell'istituito si pone una rilevante problematica circa la loro qualifica di successori diretti dell'istituito, oppure di successori del testatore in qualità di sostituti ordinari, ma ex lege del sostituito fedecommissario mancato.
Quest'ultima tesi, che potrebbe trovare giustificazione nel fatto che il legislatore abbia voluto evitare il conseguimento a favore dell'istituito della definitiva titolarità del patrimonio fedecommesso, viene a considerare i successori dell'istituito come sostituiti fedecommissari "ex lege", cioè inderogabilmente individuati dalla legge, del sostituito ex voluntate testatoris nei cui confronti si sia realizzata un'ipotesi di mancata devoluzione dell'eredità. Si verificherebbe, quindi, una sorta di conversione ex lege della nomina del sostituto venuto meno, a favore dei successori dell'istituito; essi diverrebbero in tal modo gli effettivi sostituti fedecommissari, a seguito di una sostituzione ordinaria ex lege, e pertanto, acquisterebbero l'eredità fedecommessa in qualità di successori del testatore [14].
Non può non rilevarsi l'artificiosità della costruzione di tale tesi, nonché l'inaccettabilità di alcune delle sue argomentazioni. Innanzitutto, non sembra possibile sottrarre alla libera volontà del testatore il potere di disporre una sostituzione ordinaria, che è strumento a lui solo riservato per l'eventualità che il chiamato non voglia o non possa accettare l'eredità; non può, quindi, ritenersi ammissibile una sostituzione fedecommissaria ex lege. Inoltre, il sostituito fedecommissario è individuato in modo rigoroso in colui che effettivamente abbia assistito l'incapace, ruolo che sicuramente non può attribuirsi ai successori dell'istituito. Verrebbe, quindi, a configurarsi paradossalmente una sostituzione fedecommissaria ex lege a favore di chi non è in grado di assistere l'interdetto: una sostituzione, quindi, priva di causa.
Deve pertanto ritenersi [15] che alla morte dell'istituito, nella situazione caratterizzata dalla mancata devoluzione al sostituito, si determina il consolidamento nei suoi confronti della piena e definitiva titolarità dei beni fedecommessi, e l'automatica confusione di questi con il suo patrimonio personale.
L'accettazione dell'eredità da parte dei successori dell'istituito deve, quindi, considerarsi come successione nel complessivo patrimonio dell'istituito, con riferimento esclusivo alla sua persona e non a quella del testatore.
A questo punto, può prospettarsi un'altra situazione di particolare interesse consistente nella possibilità che il testatore, in previsione del verificarsi del mancato effetto devolutivo nei confronti del sostituito, abbia disposto a favore di determinati soggetti una sostituzione ordinaria, oppure una rappresentazione, ovvero l'accrescimento. Tali istituti, che in via generale tendono a supplire alla delazione inefficace, potrebbero trovare applicazione nella fattispecie fedecommissaria ponendo rimedio alla mancata devoluzione al sostituito, che non abbia conseguito l'eredità per cause di incapacità, indegnità, per violazione degli obblighi di assistenza, o per mancata sopravvivenza all'istituito.
In tal caso, la devoluzione dell'eredità ai successori legittimi o testamentari dell'istituito dovrebbe considerarsi come meramente "suppletiva", in quanto derogabile dalla volontà del testatore. Infatti, solo nel caso in cui il testatore non abbia disposto una sostituzione ordinaria, ovvero l'accrescimento, o la rappresentazione, si attuerebbe la delazione a favore degli eredi dell'istituito.
Prima della novella, tali istituti trovavano applicazione nell'ambito della fattispecie fedecommissaria [16], ma oggi la nuova funzione assistenziale attribuita all'istituto fedecommissario induce l'interprete ad un attento riesame dei limiti di operatività in subiecta materia della rappresentanza, della sostituzione ordinaria e dell'accrescimento.
Si è già visto, infatti, come la delazione operi soltanto a favore del sostituto che abbia prestato la richiesta assistenza e, in misura proporzionale al tempo, qualora più sostituti si siano avvicendati nella cura dell'incapace. Essendo, quindi, strettamente correlata la devoluzione al sostituito all'effettivo adempimento dell'onere di assistenza, risulta non conforme alla nuova funzione della sostituzione fedecommissaria l'attribuzione dei beni spettanti al sostituito venuto meno, ai chiamati in subordine, che tale cura non hanno prestato.
Ne consegue che, pur in presenza dei relativi presupposti, non potranno operare gli istituti della sostituzione ordinaria, della rappresentazione e dell'accrescimento, e quindi in caso di mancata devoluzione al sostituito, i beni fedecommessi andranno a beneficio dell'istituito, nel senso che si consolideranno con il suo patrimonio personale e successivamente saranno devoluti ai suoi successori legittimi o testamentari.
III.5 - L'ABROGAZIONE DEL IV COMMA DELL'ART. 696 C.C.
Prima della riforma del '75, l'art. 696 c.c. al IV comma così recitava: "se l'istituito premuore al testatore o è incapace o indegno o rinunzia, l'eredità si devolve al sostituito, con effetto dal momento della morte del testatore". La norma prevedeva, quindi, un'ipotesi di conversione legale di una sostituzione fedecommissaria in una ordinaria quando l'istituito non volesse o potesse accettare.
In ogni sostituzione fedecommissaria, quindi, si riteneva [17] "implicita" una sostituzione ordinaria, per cui se, per qualsiasi ragione, fosse venuta a mancare la successione a favore dell'istituito, l'eredità sarebbe stata devoluta al sostituito. Tuttavia, la conversione poteva verificarsi solo nell'ipotesi in cui la disposizione fedecommissaria fosse valida, e non anche per sanare una sostituzione nulla.
L'abrogazione del IV comma dell'art. 696 c.c. rispecchia perfettamente lo spirito innovatore della novella; sarebbe, infatti, contrario alla ratio del fedecommesso attribuire al sostituito l'eredità prescindendo dalla cura dell'incapace.
Tuttavia, per il principio di conservazione, potrebbe ritenersi [18] ammissibile una "sostituzione compendiosa esplicita", nel senso che il testatore possa disporre una sostituzione fedecommissaria e, nella previsione che il primo chiamato non possa o non voglia accettare, ordinare esplicitamente anche una sostituzione ordinaria.
Non sembrano sussistere motivi tali da indurre l'esclusione della conversione, ove sussistano gli estremi che la legge prevede affinché essa possa operare; sarà così necessario, verificare, caso per caso, se l'istituzione mancata o nulla possa convertirsi in una sostituzione volgare.
III.6 - LA SOSTITUZIONE FEDECOMMISSARIA NEI LEGATI
L'art. 697 c.c. dichiara applicabili anche ai legati le disposizioni dettate per la sostituzione fedecommissaria.
Il testatore può quindi istituire un vincolo fedecommissario anche in riferimento a disposizioni a titolo particolare.
Ex art. 649 c.c., il legato si acquista senza bisogno di accettazione; tuttavia, nel nostro caso, essendo l'istituito un incapace, dovrà trovare applicazione l'art. 374 n.3 c.c., in base al quale il tutore non può senza l'autorizzazione del giudice tutelare, acquisire donazioni o legati.
Altra differenza consiste nel fatto che mentre la legge non consente di apporre un termine all'istituzione di erede, ammette invece che ad un legato venga apposto sia un termine iniziale, che un termine finale. Se quindi, è possibile apporre un termine finale al primo legato, che non coincida con la morte del legatario stesso, si deve precisare tuttavia, che non si è in presenza di un'ipotesi di sostituzione fedecommissaria, in quanto essa richiede necessariamente la coincidenza della sua prima fase con la morte del primo chiamato. In caso contrario, si tratterà di un semplice legato a termine, al quale non si applicherà la disciplina dell'art. 692 c.c. [19].
Un problema può sorgere nell'ipotesi in cui il testatore disponga un lascito come legato, in sostituzione della legittima. Nessun dubbio sorge sulla legittimità di una disposizione siffatta; ci si chiede, però, quali possano essere le sorti del fedecommesso nel caso in cui l'istituito, debitamente autorizzato, rifiuti il legato per conseguire, invece, la sua quota di legittima.
La dottrina [20] reputa che in tal caso la disposizione fedecommissaria venga a gravare sui beni costituenti la legittima, senza che la scelta, operata tra l'altro nell'interesse dell'incapace, possa comportarne la sua caducazione. L'efficacia del fedecommesso risulta quindi coerente con il principio di conservazione della volontà testamentaria e non trova ostacolo nel cambiamento di titolo in base al quale l'istituito succede.
III.7 (segue) - NELLE DONAZIONI
Ex art. 795 c.c. l'intera disciplina della sostituzione fedecommissaria si estende anche alle donazioni.
In generale lo strumento della donazione comporta alcune differenze di rilievo in ordine alla disciplina del fedecommesso. L'accettazione della donazione, sia da parte dell'interdetto, che da parte del donatario-sostituito, dovrà essere effettuata prima della morte del donante. Ciò comporta che di regola l'assistenza e la cura dell'incapace dovrà avere inizio dal momento stesso dell'accettazione della donazione, fatta salva una diversa volontà del donante, il quale potrà determinare un diverso termine iniziale, che eventualmente possa anche coincidere con la sua morte. Quindi, nel caso in cui più sostituiti si avvicendino nella cura dell'interdetto, anche l'assistenza prestata prima della morte del donante potrebbe essere valutata ai fini del calcolo proporzionale delle quote spettanti a ciascuno [21].
E' proprio questa particolarità che caratterizza la donazione a far sì che il donante decida di disporre una donazione fedecommissaria al fine di assicurarsi immediatamente l'accettazione da parte di entrambi i chiamati, e garantirsi l'immediato inizio della cura dell'incapace.
Non essendo necessaria la contestualità delle accettazioni, può inoltre, verificarsi che l'accettazione da parte del sostituito preceda nel tempo quella dell'interdetto. In tal caso, si ritiene [22] comunque inammissibile esperire, nell'interesse del donatario-sostituito, un'actio interrogatoria ex art. 481 c.c.
Infine, è importante rilevare che nel caso di donazione non potrà trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 694 c.c., non potendosi definire i beni donati come beni ereditari.
L'art. 795 c.c. conclude sancendo l'applicabilità alla donazione fedecommissaria del principio utile per inutile non vitiatur, tipico del negozio a causa di morte, per cui la nullità della sostituzione fedecommissaria non comporterà anche la nullità della donazione.
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