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CAPITOLO II
Diritti ed obblighi dell'istituito in relazione ai beni fedecommessi

II.1 - Diritti e obblighi dell'istituito: il godimento e la libera amministrazione dei beni ereditari
II.2 - La legittimazione processuale dell'istituito
II.3 - L'alienazione dei beni gravati dal vincolo fedecommissario
II.4 - Diritti dei creditori personali dell'istituito
      - Note -



II.1 - DIRITTI E OBBLIGHI DELL'ISTITUITO: il godimento e la libera amministrazione dei beni ereditari

 

In relazione ai diritti e obblighi dell'istituito l'articolo 693 c.c. così recita: "l'istituito ha il godimento e la libera amministrazione dei beni che formano oggetto della sostituzione, e può stare in giudizio per tutte le azioni relative ai beni medesimi. Egli può altresì compiere tutte le innovazioni dirette ad una migliore utilizzazione dei beni. All'istituito sono comuni in quanto applicabili, le norme concernenti l'usufruttuario."

La legge, quindi, attribuisce espressamente all'istituito la titolarità di un ampio ventaglio di situazioni soggettive,sostanziali e processuali, le quali, tuttavia, risentono della particolare posizione giuridica che egli assume, nell'ambito della sostituzione fedecommissaria, quale titolare di un diritto di proprietà risolubile; nonché del fatto che i beni oggetto della sostituzione costituiscono un patrimonio separato caratterizzato da una propria funzione e pertanto soggetto ad uno specifico regime giuridico per quanto riguarda il potere di disporre, la garanzia dei creditori, i poteri del sostituito [1].
Il legislatore, nel disciplinare i diritti e gli obblighi dell'istituito, rifugge dal definire la sua posizione giuridica, limitandosi ad estendergli, in quanto applicabili, le norme concernenti l'usufruttuario, lasciando implicitamente intravedere che l'istituito non è un'usufruttuario, ma sicuramente qualcosa di più e di diverso. [2]

Il godimento che, pertanto, spetta all'istituito ricomprende tutti i vantaggi che si possono ricavare dall'uso diretto dei beni oggetto del fedecommesso, nonchè l'acquisto definitivo dei frutti civili e naturali da essi derivanti. Inoltre, a lui spetteranno tutti gli acquisti effettuati con l'impiego dei frutti, nonchè i tesori rinvenuti e i premi e le altre utilità aleatorie prodotte dai beni oggetto di fedecommesso [3]. Egli potrà poi servirsi delle cose deteriorabili, ai sensi dell'art. 996 c.c., e farà sue quelle consumabili, salvo a risponderne, tramite i suoi eredi, ai sensi dell'art. 995, II co., c.c.

L'istituito, inoltre, dovrà usare nel godimento la diligenza del buon padre di famiglia, il che comporta una responsabilità anche per colpa lieve.

A questo proposito, un'isolata dottrina [4], in virtù di una applicazione analogica del principio espresso dall'art. 491 c.c., riteneva, invece, sussistente in capo all'istituito solo una responsabilità per colpa grave; tuttavia la mancanza di fondamento di tale opinione appare evidente. L'erede non amministra i beni nell'esclusivo interesse altrui, ma nell'interesse proprio come accade anche per l'usufruttuario, onde sotto questo profilo le loro posizioni coincidono. E' quindi agevole estendere la disciplina prevista dall'art. 1001 c.c. nei confronti dell'istituito. [5]

L'art. 693 c.c., in esame, consente inoltre all'istituito di compiere tutte le innovazioni dirette ad una migliore utilizzazione dei beni, e cioè di realizzare tutti i miglioramenti che ritiene opportuni, modificandone anche la destinazione economica. Difatti, non trova applicazione, nei confronti dell'istituito, il divieto posto dall'art. 981 c.c. nei confronti dell'usufruttuario. Unico limite che incontra l'istituito è quello del rispetto dell'aspettativa del sostituito fedecommissario, al quale egli è tenuto a consegnare i beni oggetto del fedecommesso almeno nella stessa situazione in cui questi si trovavano al momento dell'apertura della successione.

Una questione particolare sorge, tuttavia, per quanto riguarda l'indennizzo che gli eredi del primo chiamato possono pretendere dal sostituito, in ordine ai miglioramenti apportati dall'istituito. A questo proposito, la dottrina, in base al generico rinvio effettuato dall'art.693 ult. co., riteneva applicabile alla sostituzione fedecommissaria quanto disposto dagli articoli 985 e 986 c.c. in relazione all'usufruttuario. Ma, tale disciplina si scontra con la ratio iuris del fedecommesso, in quanto, mentre in relazione all'usufruttuario il legislatore guardava con sfavore le innovazioni da esso eventualmente apportate al fine di preservare la destinazione economica dei beni, nel caso del fedecommesso accade il contrario. E' per questo motivo, che in mancanza di un'espressa disposizione legislativa, si ritiene [6] applicabile la disciplina prevista dall'art. 1150 c.c. II co., per i miglioramenti effettuati dal possessore di buona fede.

Nell'amministrazione dei beni ereditari gravano sull'erede fiduciario anche una serie di obblighi, per la disciplina dei quali, il legislatore ha quasi del tutto rinviato alle norme relative all'usufrutto, così come statuito dall'ultimo comma dell'art. 693 c.c.

Incombe sull'istituito-interdetto, innanzitutto l'obbligo di redigere l'inventario, nonché di prestare idonea garanzia, cosi come prescritto dall'art. 1002 c.c. a carico dell'usufruttuario. Tale disposizione trova applicazione anche nei confronti dell'interdetto, in quanto medesimo è lo scopo che la norma intende perseguire: determinare l'ammontare e lo stato dei beni ereditari, al fine di garantirne l'obbligo di conservazione e restituzione [7]. Inoltre, a seguito della riforma del '75, l'obbligo di prestare idonea garanzia, per tutelare gli interessi del sostituito, ha assunto un'ulteriore rilevanza in virtù dell'abrogazione del terzo comma dell'art. 693 c.c., secondo il quale nell'ipotesi di cattiva amministrazione da parte dell'istituito, o di violazione di un suo obbligo, si poteva procedere alla nomina di un amministratore dei beni ereditari. L'abrogazione si è resa necessaria in quanto, essendo l'istituito un interdetto, l'amministrazione dei beni ereditari è eseguita dal tutore che pertanto ne è responsabile; si è voluta così evitare la coesistenza di due amministratori valutata con disfavore dal legislatore [8]. Quindi, l'abrogazione del III co., unita alla mancanza di legittimazione del sostituito ad instare presso il giudice tutelare per ottenere la rimozione del tutore in base all'art. 384 c.c., priverebbe il sostituito di qualsiasi tutela; di conseguenza, indispensabile risulta la garanzia sancita dall'art. 1002 c.c.

Un ulteriore obbligo di cui l'istituito è gravato attiene al pagamento delle spese che si possono incontrare nell'amministrazione dei beni fedecommissari. Anche in questo caso il legislatore fa rinvio alla disciplina applicabile per l'usufrutto e precisamente agli articoli 1004 ss. c.c.

Per quanto riguarda il pagamento delle spese "ordinarie", non vi sono dubbi in merito al fatto che esse gravino sull'istituito. Infatti, esse si pongono in rapporto diretto con il godimento dei beni, assicurato all'istituito dall'art. 693, per cui non possono non gravare che su di lui.

Più complessa, appare la questione relativa al pagamento delle spese "straordinarie", in quanto, in tal caso si ritiene [9] che la disciplina dettata in materia di usufrutto non possa trovare applicazione a causa della particolare dialettica che lega l'usufruttuario al nudo proprietario, la quale è assente nella sostituzione fedecommissaria. Infatti, gli obblighi che la legge pone a carico del nudo proprietario non trovano corrispondente applicazione nei confronti del sostituito, il quale subentra nella titolarità dei beni fedecommissari solo alla morte del primo chiamato e, quindi, fino a quel momento non potrà essere gravato del pagamento di alcuna spesa riguardante i beni medesimi. Pertanto, è sull'istituito che ricadrà l'onere di compiere tutte le riparazioni straordinarie che si rendano necessarie, anche al fine della conservazione del patrimonio fedecommissario [10].

Tuttavia, ciò non significa che egli sia tenuto a sopportarne anche l'onere economico, potendo chiedere il rimborso, senza interessi, delle spese sostenute secondo quanto disposto dall'art. 1006 c.c. in relazione all'usufruttuario. Naturalmente, poichè l'attribuzione dei beni al sostituito si realizzerà solo alla morte dell'istituito, il diritto al rimborso potrà essere esercitato solo dai suoi eredi. [11]

  


 

II.2 - LA LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE DELL'ISTITUITO

 

L'art. 693 c.c. espressamente riconosce all'istituito, accanto al godimento e la libera amministrazione dei beni ereditari, la capacità di stare in giudizio per tutte le azioni relative ai beni medesimi.

Tale legittimazione spetta all'istituito, in quanto, non esiste "attualmente" altro titolare dell'eredità che possa proporre e contro cui possono essere proposte azioni giudiziarie. Egli, in quanto titolare di un diritto di proprietà, seppur "risolubile", risulta, quindi, legittimato in via "esclusiva" ad esperire qualsiasi azione a tutela del proprio patrimonio, nonchè quelle relative alla validità della stessa disposizione fedecommissaria [12].

L'istituito, essendo interdetto, si vedrà rappresentare giudizialmente dal tutore, il quale dovrà previamente ottenere l'autorizzazione del giudice tutelare prevista dall'art. 374 c.c.

Tendo conto della particolare struttura dell'istituto fedecommissario, bisogna rilevare che l'esercizio della legittimazione processuale attiva e passiva da parte dell'istituito, non potrà non produrre effetti anche nei confronti del sostituito. Infatti, il giudicato formatosi nei riguardi del primo chiamato farà stato anche nei confronti del sostituito, il quale succederà, tra l'altro, nei processi ancora pendenti al momento della apertura della successione, allorquando subentrerà definitivamente nella titolarità dei beni fedecommessi.

Si precisa, inoltre, che il giudicato formatosi nei riguardi dell'istituito si estenderà al sostituito, non in base all'art. 111 c.p.c., ma ai sensi dell'art. 110 c.p.c. Ai fini processuali, infatti, il sostituito non potrà considerarsi un successore a titolo particolare, ma un successore a titolo universale dell'istituito; anche se ciò non può dirsi dal punto di vista del diritto sostanziale, in quanto il meccanismo dell'istituto fedecommissario si presenta, da questo punto di vista, complesso [13].

Particolare rilevanza assumono, inoltre, le azioni relative alla validità o efficacia delle disposizioni testamentarie concernenti sia la prima chiamata, nei confronti dell'istituito, sia quella del sostituito. In tal caso, si ritiene [14] sussistente, accanto alla legittimazione dell'istituito, una legittimazione processuale "concorrente" del sostituito, per le azioni concernenti la validità della sua chiamata.

Inoltre, il sostituito ha la possibilità, ex art. 105 c.p.c., di intervenire volontariamente nel giudizio instaurato dall'istituito, ove si controverta della validità dell'intera disposizione testamentaria, oppure esclusivamente di quella dell'erede-interdetto, visto che la sostituzione fedecommissaria si realizzerà solo nel caso in cui la prima istituzione sia valida [15]; quindi, sarà interesse del sostituto far valere le proprie ragioni.

  


 

II.3 - L'ALIENAZIONE DEI BENI GRAVATI DAL VINCOLO FEDECOMMISSARIO

 

L'art. 694 c.c. fa riferimento ai poteri di disposizione dell'istituito in relazione ai beni gravati dal vincolo fedecommissario.

Tenendo conto della particolare struttura e finalità dell'istituto fedecommissario, si può immediatamente rilevare che all'istituito-interdetto è esclusa la possibilità di disporre liberamente dei beni ereditati. Egli, in quanto titolare di un diritto di proprietà risolubile, risulta vincolato a tenere comportamenti compatibili con il suo obbligo di conservare e restituire, alla sua morte, i beni fedecommissari, i quali, pertanto, sono gravati da un vincolo di destinazione a favore del sostituito, avente natura reale. [16]

Tuttavia, l'art. 694 c.c. pone una deroga all'assoluta indisponibilità dei beni fedecommessi, statuendo che l'istituito possa compiere, con l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, atti di alienazione dei beni medesimi solo in caso di "utilità evidente", ed inoltre, essere autorizzato a costituire ipoteca sugli stessi beni a garanzia dei crediti destinati a miglioramenti ed a trasformazioni fondiarie.

L'alienazione è, quindi, ammessa solo in caso di "utilità evidente", opportunamente valutata dall'autorità giudiziaria, legittimata ex art. 747 c.p.c. a concedere l'autorizzazione, disponendo anche il reimpiego delle somme ricavate.

L'"utilità evidente" deve intendersi con esclusivo riferimento alla situazione oggettiva dei beni, estendendosi oltre che all'atto opportuno, anche all'atto necessitato in funzione della conservazione di essi, e non invece, all'atto tendente al soddisfacimento dei bisogni dell'istituito. [17]

L'alienazione è, pertanto, consentita solo al fine di preservare i beni fedecommissari per la realizzazione della funzione dell'istituto, che è quella di rendere possibile la restituzione dell'intero compendio ereditario o di parte di esso al sostituito; ciò spiega l'impossibilità della consumazione dei beni o del loro equivalente per le necessità dell'istituito. [18]

L'autorità giudiziaria poi, nel consentire l'alienazione, dovrà anche disporre il reimpiego delle somme ricavate. Esso può consistere, non solo nell'acquisto di altri beni più produttivi, in relazione agli interessi del sostituito, ma altresì nella permuta di beni fedecommissari con altri beni, nell'utilizzazione delle somme ricavate per apportare miglioramenti, o per pagare le passività ereditarie. Il legislatore, pertanto, disponendo il reimpiego delle somme ricavate dall'alienazione dei beni fedecommissari, ha inteso stabilire che il corrispettivo di tale reimpiego venisse a far parte della sostituzione fedecommissaria stessa, realizzando in tal modo un'ipotesi di surrogazione reale. [19]

Il procedimento per ottenere l'autorizzazione all'alienazione è quello previsto dagli artt. 747 e 748 c.p.c., secondo i quali l'autorizzazione alla vendita deve chiedersi con ricorso, diretto per i mobili al pretore e per gli immobili al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione. Sul ricorso il giudice deciderà con decreto. Inoltre, la vendita dovrà compiersi nelle forme previste per la vendita dei beni dei minori, così come statuito dall'art. 748 c.p.c.

Lo stesso procedimento si applicherà anche per l'autorizzazione alla costituzione d'ipoteche. All'istituito è, infatti, consentita la costituzione di ipoteche sui beni oggetto della sostituzione, ma soltanto quando i crediti garantiti siano destinati a finanziare miglioramenti o trasformazioni fondiarie, che l'autorità giudiziaria valuti possibili ed utili, e che non richiedano una spesa eccessiva o sproporzionata. Tuttavia, pur accogliendo un’interpretazione restrittiva del disposto dell'art. 694 c.c., si ritiene [20] che la norma si estenda anche gli altri atti di straordinaria amministrazione previsti dagli artt. 374 e 375 c.c., che non contrastino con l'esigenza fondamentale della conservazione dell'integrità del patrimonio, inteso nel suo complesso e non nei singoli elementi costitutivi.

A questo punto, di particolare interesse risulta la questione riguardante le conseguenze derivanti dall'alienazione dei beni fedecommissari, in mancanza dell'autorizzazione giudiziaria. La questione si presenta alquanto ardua, in quanto non vi sono, da parte della dottrina, unanimità di vedute.

Secondo alcuni, [21] l'autorizzazione non ha funzione integrativa della capacità o della legittimazione a compiere l'atto e non attiene, quindi, alla sua validità. Si tratta di un atto di controllo, per la tutela anche dell'interesse di un soggetto diverso da quello che compie il negozio. L'autorizzazione, quindi, è necessaria al solo fine di rendere opponibile l'atto al sostituito, in modo che non possa disconoscerne gli effetti, ma non esclude la piena validità ed efficacia dell'atto inter partes.

Tale tesi non viene, invece, condivisa da chi [22] sostiene che, essendo sospeso - in assenza dell'autorizzazione - l'esercizio della facoltà di disposizione, l'atto posto in essere dal tutore dell'interdetto sia invalido per difetto di legittimazione, senza possibilità di successiva sanatoria. Questa soluzione, a mio avviso da condividere, tende a tutelare in senso più ampio l'aspettativa del sostituito, favorendo la stessa realizzazione dell'istituto fedecommissario.

Sulla qualificazione poi dell'invalidità dell'atto di disposizione dei beni oggetto della sostituzione, ugualmente le opinioni della dottrina si dispongono in un ampio ventaglio che va dall'inefficacia, all'annullabilità, alla nullità.

Alcuni [23] affermano che all'unità del provvedimento di volontaria giurisdizione, nel quale confluiscono la valutazione e l'appagamento di un duplice interesse (dell'interdetto e del sostituito), non può corrispondere l'unità del trattamento dell'atto di disposizione, proprio perchè sullo stesso fatto si appuntano due diverse qualificazioni formali operate sulla base delle valutazioni dei corrispondenti interessi. Per cui si avrà la coesistenza di due azioni diverse: l'azione di annullamento, a tutela esclusivamente degli interessi dell'interdetto così come disposto dall'art. 377 c.c., e l'azione di inefficacia relativa, a tutela degli interessi del sostituito.

Tale sistema si rivela, tuttavia, macchinoso e contrario, tra l'altro, ad esigenze di economia processuale, che inducono, pertanto, a preferire la tesi che ritiene semplicemente nulli gli eventuali atti di disposizione compiuti senza la necessaria autorizzazione. La nullità, potendo essere invocata da chiunque vi abbia interesse, tutela adeguatamente la posizione di qualsiasi interessato, e quindi anche quella del sostituito, il quale potrà rivendicare i beni alienati contro i terzi acquirenti, salve le ipotesi di salvezza poste a garanzia di quest'ultimi. [24]

Infatti, in caso di alienazione di beni mobili non soggetti all'obbligo di trascrizione, non potrà non trovare applicazione a tutela del terzo acquirente di buona fede l'art. 1153 c.c. sul possesso vale titolo; per cui l'acquirente di buona fede della cosa mobile potrà opporre il suo acquisto al sostituto fedecommissario che volesse rivendicarne la proprietà nei suoi confronti.

Diversa è la situazione nel caso che l'alienazione riguardi beni immobili o cose mobili registrate; in tal caso l'art. 2660 c.c. al n. 6, impone che, nella trascrizione dell'acquisto mortis causa, si indichi l'eventuale vincolo fedecommissario gravante sui beni ereditari. Tale forma di pubblicità costituisce una tutela dei terzi su cui grava l'onere di consultazione dei registri immobiliari, per cui ove il vincolo fedecommissario risulti trascritto, non potrà eccepirsi la buona fede del terzo acquirente; ma, quando tale trascrizione manchi, né altrimenti il terzo abbia avuto modo di conoscere l'esistenza del vincolo, il suo acquisto deve ritenersi perfettamente valido ed efficace, in applicazione della normativa dettata dall'art. 534 c.c. sugli acquisti dell'erede apparente [25]. In questo caso, è fatta salva la responsabilità dell'istituito, o meglio dei suoi eredi, nei confronti del sostituito, il quale potrà agire legittimamente a tutela dei suoi diritti.

Per un diverso ordine di ragioni, è opportuno sottolineare che l'acquisto di beni fedecommissari, ad opera di un terzo di buona fede, rimarrà ugualmente fermo allorquando, per effetto della revoca dell'interdizione, venga meno uno dei presupposti fondamentali per la validità della sostituzione stessa.

In tal caso, venendo meno il vincolo fedecommissario, oltre la definitività dell'acquisto del terzo, ci si chiede anche quale sia la sorte degli atti eventualmente compiuti dall'istituito senza l'autorizzazione prescritta ex art. 694 c.c. Per essi, non sussistendo più l'esigenza di tutela del sostituito, ma in considerazione del fatto che quegli atti erano stati compiuti per conto di un soggetto ritenuto incapace, si può ritenere [26] che, solo in relazione agli atti per i quali era richiesta l'autorizzazione ex art. 374 e 375 c.c., possa essere eseguita un'azione di annullamento, con la possibilità, tuttavia, di una convalida in ossequio al disposto dell'art. 1444 c.c.

  


 

II.4 - DIRITTI DEI CREDITORI PERSONALI DELL'ISTITUITO

 

La disciplina contenuta nell'art. 695 c.c. regola espressamente i rapporti tra l'istituito ed i suoi creditori personali, ed indirettamente appresta anche una soluzione ai problemi inerenti al pagamento dei debiti ereditari.

Secondo la lettera della norma, i creditori personali dell'istituito possono agire esecutivamente soltanto sui frutti dei beni fedecommessi, e sulle eventuali utilità accessorie, che non intacchino il valore capitale della cosa. [27] E' pertanto esclusa qualsiasi azione esecutiva sui beni oggetto della sostituzione, in coerenza con la ratio del fedecommesso, che induce a salvaguardare l'integrità sostanziale dei beni stessi, destinati ad un fine ulteriore.

L'insensibilità dei beni gravati dal vincolo fedecommissario rispetto alle obbligazioni personali dell'istituito ha indotto parte della dottrina a qualificare la situazione giuridica di tali beni come quella di un patrimonio separato. [28] Difatti, esso, in quanto destinato ad assolvere ad una determinata funzione, è sottratto alle aggressioni dei creditori personali dell'interdetto, ma non a quelle dei creditori del de cuius, i quali invece possono agire anche sui beni fedecommissari.

A questo proposito, è necessario rilevare che, essendo l'istituito un interdetto, necessariamente dovrà accettare l'eredità con il beneficio d'inventario per evitare di dover rispondere ultra vires dei debiti ereditari. Quindi, i creditori ereditari potranno avvalersi sui beni fedecommissari, ma non sul patrimonio personale dell'istituito. Essi richiederanno l'adempimento delle obbligazioni ereditarie all'interdetto, che vi provvederà col denaro che si procurerà mediante l'alienazione, autorizzata dal tribunale, dei beni vincolati fedecommissariamente, ovvero di quei beni consumabili, sui quali l'istituito ex art. 995 c.c. abbia acquistato la proprietà.

L'utilizzazione delle somme di denaro per l'estinzione dei debiti ereditari non potrà, tuttavia, essere libera, per la situazione d'incapacità in cui versa l'istituito. Infatti, se al momento dell'apertura della successione parte dell'eredità è in denaro la sua destinazione dovrà essere decisa dal giudice tutelare, a norma dell'art. 369 c.c.; se invece il denaro si troverà depositato in un istituto di credito, la sua utilizzazione dovrà essere preceduta dall'autorizzazione a riscuotere del giudice tutelare, ex art. 374, n.2, c.c. [29]

Il pagamento delle passività ereditarie potrà essere effettuato anche con denaro proprio dell'istituito, il quale, prima della novella, acquistava il diritto alla restituzione

delle somme erogate da parte del sostituito, senza interessi così come disposto dall'art. 1010 c.c. Dopo la riforma, l’accettazione beneficiata da parte dell'incapace consente, invece, la diretta applicazione dell'art. 1203, n.4, c.c., secondo cui ha luogo la surrogazione di diritto "a vantaggio dell'erede che paghi con denaro proprio i debiti ereditari". [30] La qualità di interdetto dell'erede beneficiato comporterà la necessità, per il tutore, di munirsi dell'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria, di cui si avrà ugualmente bisogno, nel caso in cui il pagamento diretto da parte dell'istituito sarà finalizzato ad evitare l'effetto, economicamente più svantaggioso, dell'espropriazione forzata, ovvero dell'alienazione di un bene fruttifero.

La responsabilità per il pagamento dei debiti ereditari si trasmetterà al sostituito al momento della devoluzione, nei suoi confronti, dei beni fedecommessi. Pertanto il sostituito non potrà conseguire se non ciò che residua del patrimonio fedecommissario. Inoltre, ove permangano ancora debiti ereditari, essi graveranno sul sostituito anche ultra vires, salvo che non rinunzi all'eredità, o non l'accetti, oppure l'accetti col beneficio d'inventario.

  


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    N O T E - Capitolo II
  1. G. BENEDETTI, Delle sostituzioni, op. cit., p. 236.
  2. V.R.. CASULLI, op. cit., p.981.
  3. M. TALAMANCA, Delle sostituzioni, op. cit., p. 348 ss.
  4. L. RICCA, op. cit., p.128.
  5. In tal senso M. TALAMANCA, op. cit., p.364 ; F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 59.
  6. M. TALAMANCA, op. cit., p. 351.
  7. M. TALAMANCA, op. cit., p. 362.
  8. G. BENEDETTI, op. cit., p. 239.
  9. M. TALAMANCA, op. cit., p. 366; G. BENEDETTI, op. cit., p.238.
  10. F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 66.
  11. M. TALAMANCA, op. cit., p. 367.
  12. F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 69.
  13. F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 71.
  14. F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 69.
  15. M. TALAMANCA, op. cit., p. 347.
  16. M. TALAMANCA, op. cit., p.379.
  17. F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 74.
  18. A. JANNUZZI, Manuale della volontaria giurisdizione,Milano,1984, p.607.
  19. M. TALAMANCA, op. cit., p. 383; In tal senso anche F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p.75.
  20. A. JANNUZZI, op. cit., p. 607.
  21. A. JANNUZZI, op. cit., p. 607.
  22. G. BENEDETTI, op. cit., p. 240; M. TALAMANCA, op. cit., p. 379; F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 80.
  23. G. BENEDETTI, op. cit., p. 241; M. MORETTI, op. cit., p. 454.
  24. Sono a favore di tale tesi: F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 81 ss.; C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano,II, Milano, 1964, p. 312.
  25. M. TALAMANCA, op. cit., p. 380; F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 84 il quale, tuttavia, ritiene che nel caso in esame l'art. 534 c.c. trovi applicazione in via analogica, in quanto se sono fatti salvi gli acquisti dall'erede apparente, a maggior ragione devono esserlo quelli eseguiti dal vero titolare.
  26. F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 85.
  27. V.R. CASULLI, voce "Sostituzione ordinaria e fedecommissaria", op. cit., p. 983.
  28. F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 90; L. RICCA, op. cit., p. 133.
  29. F. AMATO - G. MARINARO, op. cit., p. 92.
  30. L. RICCA, op. cit., p. 20; M. TALAMANCA, op. cit., p. 370.

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