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Teatro E Gioco: tra teoria e prassi teatrale | Intro | Cap. I | Cap. II | Cap. III | App. | Biblio |
1. IL TEATRO DE LOS SENTIDOS (DEI SENSI)
2. BREVE BIOGRAFIA: ENRIQUE VARGAS
3. LA TRILOGIA “SOTTO IL SEGNO DEL LABIRINTO”
3.1. Il filo d’Arianna
3.2. Oracoli p. 79
3.3. La memoria del vino (o I giochi di Dioniso)
4. TEORESI DI VARGAS
- Note -
1. IL TEATRO DE LOS SENTIDOS (DEI SENSI).
Il Teatro de los Sentidos è una compagnia diretta dal drammaturgo e antropologo colombiano Enrique Vargas, formata da persone di dodici nazionalità differenti, le principali: Colombia, Italia, Cile, Francia, Olanda, Spagna e Venezuela. Sotto la direzione di Vargas, investiga la drammaturgia del linguaggio sensoriale utilizzando i codici tattile, uditivo, percettivo che incontriamo grosso modo in tutti i suoi spettacoli.
Il risultato di questa indagine si è manifestato soprattutto nella trilogia “Sotto il segno del labirinto” che comprende le opere Il filo d’Arianna, Oracoli, e La memoria del vino. Questi lavori hanno permesso di rompere la barriera spaziale che separa artista, opera e pubblico.
La compagnia si pone tre obiettivi basilari: modellare lo spazio, scolpire l’oscurità e caricare i silenzi, secondo un continuo processo di trasformazione nel quale è necessario trovare l’equilibrio tra l’installazione plastica e l’azione teatrale. Per questo il Teatro de los Sentidos imposta la sua ricerca su un linguaggio basato sul non detto. Seguendo le orme delle tradizioni orali ancestrali, pone in scena il silenzio come condizione indispensabile per una comunicazione tra l’opera e il pubblico.
L’attore, che in realtà è un abitante del luogo, invece di illustrare o dimostrare le situazioni drammatiche dell’opera, tende a sparire per suggerirla, per suscitare spazi e tempi, lasciando che sia lo spettatore a crearsi un proprio immaginario interiore, come se stesse vivendo un sogno all’interno del proprio labirinto.
La drammaturgia che sostiene gli spettacoli prevede che la vicenda sia vissuta dal pubblico in modo individuale. Le esperienze e le emozioni che lo spettatore incontra nel percorso alimentano la sua curiosità intellettuale, lo convertono in un viaggiatore, un abitante delle proprie vie interiori.
2. BREVE BIOGRAFIA: ENRIQUE VARGAS.
Enrique Vargas nasce nel 1940 a Manizales, in Colombia.
Studia regia, recitazione e drammaturgia alla Scuola Nazionale d’Arte Drammatica di Bogota (Colombia) dal 1955 al 1960, anno in cui inizia la sua ricerca di antropologia teatrale al Kalamazoo College, in Michigan. Nel 1966 lavora al teatro La Mama di New York realizzando, come regista, le opere New York attraverso il naso e Cuchifrito che portano il segno di un’indagine sul linguaggio corporale.
Dal 1968 al 1972 è direttore e drammaturgo del Gut Theatre a East Harlem (New York). Nei lavori di questo primo periodo utilizza le feste popolari tradizionali, di piazza, dei portoricani di Harlem per sviluppare un gioco drammatico, partendo sempre dal linguaggio del corpo e dalla ricerca di uno spazio ludico, affinché i partecipanti possano essere i protagonisti della propria festa, abbandonando il ruolo di spettatori per divenire attori a tutti gli effetti di un rituale collettivo.
Dal 1972 al 1975 si occupa di drammaturgia di animazione dell’oggetto al Teatro Centrale di Praga e, fino al 1984, lavora come direttore del Centro di Investigazione Teatrale dell’Università Nazionale della Colombia, interessandosi per lo più alla relazione tra il gioco infantile, il rituale e i miti della comunità indigena della regione amazzonica colombiana. In questa Università, tra il 1984 e il 1990, crea la Cattedra di Investigazione dell’Immagine Sensoriale. Ha diretto opere come Faustino Rimales, Sancocho de cola, 4 golpes, El romance y su sombra, La manta.
Dal 1994 si stabilisce in Europa; fonda con Rosa Romero [198] la Scuola Internazionale di Drammaturgia dell’Immagine Sensoriale a Mostoles (a sud di Madrid).
Dal 1990 al 1996, Vargas realizza una trilogia, “Sotto il segno del labirinto”, che comprende: Il filo di Arianna e Oracoli. Debutta a Bologna, nell’estate del 2000, con una nuova opera: La memoria del vino o I giochi di Dioniso.
Ha studiato principalmente la relazione tra rito, mito e gioco, in contesti labirintici basati sul linguaggio dell’oscurità, del silenzio e della solitudine.
Il viaggiatore, all’interno del labirinto, usa i propri sensi tornando alle proprie origini: annusa, tocca, percepisce come se fosse la prima volta.
La ricerca di un linguaggio sensoriale risponde all’intento di rivalorizzare il corpo come fonte di conoscenza e di piacere.
Vargas ha ricevuto numerosi riconoscimenti: Primo Premio del Festival di Teatro dell’Expò (Quebec, 1967); Premio Nazionale di Drammaturgia (Colombia, 1988); Primo Premio Salon Nacional de Artes Plasticas (Colombia, 1992); Premio Tucan de Oro al Festival di Teatro di Cadice (1993); Premio UNESCO per la ricerca teatrale (1995).
Ha inoltre collaborato con il quotidiano El Espectador.
Ha pubblicato i saggi: “Rito, Mito y Juego”, “Tiempos de Metafora”, “Imagen sensorial e investigacion y la busqueda de lo no dicho”.
Attualmente continua la sua attività di ricerca, creazione e formazione che comprende laboratori, seminari e messe in scena sulla drammaturgia dell’immagine sensoriale.
È inoltre direttore artistico del Timefestival, nella città di Gent (Belgio).
Dal 5 luglio al 3 agosto 2003 Enrique Vargas e il Teatro de los Sentidos hanno riproposto lo spettacolo Il filo d’Arianna al 25° GREC FESTIVAL di Barcellona, mentre La memoria del vino è previsto per il Fòrum 2004.
3. LA TRILOGIA “SOTTO IL SEGNO DEL LABIRINTO” [199] .
Per comprendere meglio il pensiero di Vargas e la sua ricerca di una poetica sensoriale, presentiamo brevemente i tre spettacoli della trilogia che contengono le idee-guida fondamentali del Teatro de los Sentidos.
3.1. Il filo d’Arianna.
«La mejor manera de encontrar es perderse» [200] .
Il filo d’Arianna propone al pubblico un gioco: diventare un viaggiatore mitologico che percorre il suo cammino, incrociando le vie del Minotauro, celeberrimo abitante del labirinto. Lo spettatore-viaggiatore si rende conto pian piano che si sta convertendo in un Teseo che gioca a confrontarsi con il proprio Minotauro interiore. Per questo il viaggio è ad occhi chiusi, per ascoltare assolutamente il silenzio, per perdersi e ritrovarsi.
Il labirinto è un cammino di andata e ritorno, di morte e di nascita. L’andata è caratterizzata dal rischio, dal centro abitato dal Minotauro, il ritorno invece riporta alla luce del giorno, con i sensi e la memoria arricchiti. Il viaggiatore ritorna alle proprie origini e annusa, tocca, percepisce come se fosse la prima volta.
La ricerca di un linguaggio sensoriale risponde alla necessità di recuperare il corpo come fonte di conoscenza, di piacere e di armonia. Il filo d’Arianna si muove attraverso dei paradossi e recupera strade perdute.
3.2. Oracoli.
«El viajero crea el camino, pero el camino lo crea a èl» [201] .
Oracoli è una creazione teatrale tessuta con quattro fili:
1. il labirinto
2. l’alchimia
3. l’oracolo
4. la favola
L’intreccio comune è dato dalla relazione che si instaura tra la domanda e il mistero.
1. Oracoli è stato concepito come un percorso attraverso uno spazio labirintico costruito per sperimentare sensazioni basate sulla memoria archetipica. Il viaggio si snoda attraverso un campo dove la curiosità, il caso, lo stupore e la casualità coincidono nel silenzio; gli aromi, la penombra, la solitudine, i sogni e le sensazioni tattili inducono il viaggiatore a proseguire il suo cammino.
2. Il viaggio permette di vivere un gioco di trasformazione, di perdita e di incontro, di domande e di scoperte; lo spettatore-viaggiatore che intraprende il suo percorso è un altro quando ritorna. Allo stesso modo, un seme deve passare attraverso diversi stadi prima di scoprire la sua vera essenza.
Il processo alchemico della trasformazione del grano in
pane orienta il viaggiatore nel suo cammino.
3. Gli immaginari dello spettacolo si basano sugli Arcani Maggiori del tradizionale gioco dei Tarocchi. In Oracoli il giocatore-viaggiatore tenta di arrivare alla propria domanda attraverso le carte. La sua risposta comincia con la ricerca del suo mistero nelle vie del labirinto che lo conducono più in là, verso una mèta che è già presente nella sua interiorità anche se rimane nascosta al suo sguardo.
4. In Oracoli emerge la domanda che cerchiamo di individuare e alla quale tentiamo di rispondere lungo tutto il corso della nostra vita e che, indubbiamente, ci mette di fronte alle porte del mistero. Il viaggiatore gioca a scoprire con timore reverenziale una voce proveniente da molto lontano, la propria voce, che nessun altro potrebbe mai ascoltare e che lui stesso, in un altro modo, non riuscirebbe mai a sentire.
Ispirato ai Misteri Eleusini […] Oracoli rappresenta un vero e proprio sconfinamento nei campi più estremi della ricerca teatrale e parateatrale. Nell’epoca della realtà virtuale i labirinti sensoriali creano una sorta di controtendenza, sono un’immersione totale in un mondo arcaico che esalta tutte le percezioni umane (vista, tatto, olfatto, udito) connettendole con il piano psicoemotivo. Oracoli è molto più di uno spettacolo, è la combinazione alchemica tra casualità, fortuna e filosofia, rappresenta la possibilità di vivere un teatro che nega se stesso per sciogliersi nella partecipazione attiva dello spettatore e nella possibilità di scoprire quanto può essere affascinante guardarsi dentro [202] .
3.3. La memoria del vino (o I giochi di Dioniso).
«Nada es lo que parece, solo lo esencial es invisible» [203] .
La memoria del vino è un’opera nella quale, attraverso il linguaggio sensoriale, si suggerisce al pubblico un gioco: viaggiare alla ricerca dello spirito del vino, a partire dai suoi aspetti più evidenti (odore, colore, densità, gusto), fino alla sua essenza più profonda, che ci permette d’intuire il suo mistero.
Il viaggiatore entra nella penombra di una fiera dell’illusione dove va scoprendo strani personaggi, esperienze e giochi; niente di ciò che appare è e, da un momento all’altro, può sorgere l’inaspettato.
L’apparizione della donna della vendemmia invita a pigiare l’uva, a partecipare alla festa del mosto e, di conseguenza, a vivere la sua inevitabile fermentazione. Il tutto sfocia in una processione nella quale i personaggi misteriosi e mascherati che appartengono all’Ade vanno immergendosi nella nebbia. A quel punto la tensione e la curiosità dei viaggiatori si intensificano fino a giungere alla comprensione della vicina presenza di Dioniso.
I giochi di Dioniso cominciano quando il dio nega di condividere il vino con i mortali, a meno che questi non partecipino al gioco. Il segreto è sul punto di essere rivelato. Inizia la celebrazione, la festa, il carnevale, i giochi, la musica, i tamburi, i colori, l’allegria e i balli secondo un ritmo sempre crescente, fino al momento culminante.
Lo spazio si trasforma e il tempo s’interrompe, riportando i viaggiatori ad una situazione precedente, già vissuta, che viene riletta in maniera differente e, nella condizione di semioscurità, sorge l’inevitabile domanda riguardo al segreto del vino.
Quest’opera è un percorso in compagnia del vino per ritrovare qualcosa che sembra essersi perduto. Un viaggio alla ricerca di quella completezza d’identità che l’uomo ha smarrito da tempo nella frammentazione del sentire e del percepire la realtà, nel suo essere parte di un intero che stenta a ricomporsi nell’eterna dialettica tra razionale ed istintivo, un viaggio sul significato e sulla presenza del dionisiaco nella società contemporanea [204] .
La memoria del vino, prodotto da Emilia Romagna Teatro, ha debuttato a Bologna, all’ex Forno del Pane, il 26 giugno del 2000. Ecco parte della presentazione nella Nota Stampa del 13 aprile del 2000:
se Oracoli giocava sulla premonizione, con La memoria del vino si giocherà con la follia e il cammino dell’uva condurrà alla ricerca di Dioniso, letto attraverso lo sguardo di Nietzsche: scatenamento di tutte le capacità simboliche, con la simultanea prorompente esplosione di danza, mimica, canto, grido, musica. Questa esperienza di pienezza richiama il gioco, espressione decisiva di ogni cultura, atto libero e superfluo che ci colloca in un altro spazio e in un altro tempo, ma che vive della sostanziale adesione del giocatore, della disponibilità ad entrare nella sua sfera e ad accettarne le regole, passando dalla passività alla partecipazione [205] .
Ribadendo il ruolo dello spettatore nel Teatro di Vargas:
La memoria del vino punta a trasformare lo spettatore in attore della propria festa in onore di Dioniso, ispiratore di leggerezza e di trasparenza. Attraverso questi elementi di scoperta e di relazione, passando per il caos, il perdersi e l’oscurità, lo spettatore vivrà soprattutto un’esperienza “abitativa”, come sempre nei lavori di Vargas, che necessitano di grandi spazi da allestire e che vivono della realtà del luogo. Egli, infatti, non assiste ad uno spettacolo, ma attraversa uno spazio, si appropria di un tempo, vive sensazioni che gli permettono di fare ogni volta una diversa esperienza [206] .
4. TEORESI DI VARGAS.
Il termine teoresi indica un’attività conoscitiva. Il lavoro di Vargas e del Teatro de los Sentidos si inserisce nel grande filone del teatro sperimentale e di ricerca con l’intento di conoscere in modo più ampio e approfondito le possibilità del sentire umano, soprattutto grazie alla memoria del corpo che viene stimolata attraverso il risveglio dei sensi meno usati, facendo riaffiorare ricordi, emozioni e stati d’animo.
È difficile dire della poetica de los Sentidos, ossia dell’insieme delle concezioni e idealità artistiche proprie di questa compagnia teatrale.
Uno dei motivi di tale difficoltà potrebbe essere questo: forse è ancora troppo presto per poter comprendere il cambiamento apportato in questi anni nell’ambiente teatrale, soprattutto europeo, dal Teatro de los Sentidos e da tante altre compagnie di teatro sperimentale che, come il gruppo di Vargas, stanno costruendo un modo nuovo di far teatro.
Non esiste prassi che non presupponga una teoria, ma probabilmente persino quello che noi oggi consideriamo “il grande Artaud” non ebbe mai il quadro definito del proprio percorso di teatro-vita ed è proprio di teatro-vita che possiamo parlare a proposito della figura di Enrique Vargas, tant’è che dalle interviste riportate in Appendice 1 emerge con chiarezza il suo lungo viaggio attraverso l’esperienza e lo strumento del teatro verso l’incontro con sé stesso, con le proprie domande interiori, con l’altro o l’Altro e il suo peregrinare alla ricerca di una poetica che sveli semplicemente le trame della sua storia e di ogni personale storia umana.
Ed ecco un secondo motivo per cui non è facile parlare della poetica de los Sentidos: Vargas non ha smesso di chiedersi come costruire tale poetica, nonostante abbia presentato numerosi spettacoli in cui essa affiora palesemente, in particolar modo in quelli della trilogia “Sotto il segno del labirinto” esposta nel paragrafo precedente.
Se non possiamo dunque confrontarci con una poetica dei sensi consolidata, cerchiamo tuttavia di presentare alcuni punti-chiave del pensiero vargasiano che riteniamo sufficienti per delineare la sua teoresi.
Il primo, quello che consideriamo il più pregnante, riguarda la posizione dello spettatore nello spazio: «lo spettatore è al centro, mentre lo spettacolo lo circonda» [207] .
Ciò che per Artaud era un’utopia, si concretizza nel Teatro de los Sentidos. Qui lo spettatore entra in uno spazio teatrale creato da altri, ma lo fa suo e contribuisce a crearlo, a modificarlo, incontra suoni, persone, cose, odori, luci e ombre in un labirinto che è metafora del suo cammino, del cammino della vita. Diventa un abitatore, un viaggiatore che ha pieno potere decisionale sulle sue azioni, sui suoi gesti, sulle sue parole. È protagonista attivo di un’esperienza teatrale all’interno di un mondo ludico che gli permette di giocare con la realtà guardandola attraverso lo specchio della finzione.
Nel mondo del come se del labirinto egli è sempre sé stesso, lo spettatore che è entrato portandosi appresso le proprie curiosità e le proprie paure, ma contemporaneamente si trasforma in “altro da sé” liberando potenzialità nascoste che lo spingono ad agire, a divenire attore della propria storia. Il viaggiatore-spettatore ne Il filo d’Arianna è ad esempio portato a riconoscersi sia come Teseo sia come sé stesso.
Di solito, quando pensiamo allo spettatore, immaginiamo una persona che paga un biglietto, entra in un teatro per assistere ad uno spettacolo che suscita emozione e immedesimazione ma che non prevede un contatto fisico o un’immersione nel cuore della rappresentazione.
Lo spettatore del Teatro de los Sentidos, invece, vive esperienze sensoriali che lo rendono protagonista indiscusso del processo teatrale in atto. È lui che sceglie di percorrere o meno un dato sentiero, di toccare o meno un oggetto, di incontrare o meno gli attori all’interno del labirinto disposti a giocare con lui [208] .
Credo che questo sia uno dei punti fondamentali della teoresi di Vargas: il teatro è uno strumento, l’elemento importante è il gioco, lo spettatore deve avere la possibilità di trasformarsi in spett-attore, come sostiene Boal e di giocare nello spazio che è stato predisposto appositamente per lui (Oracoli prevede l’entrata nel labirinto di un solo spettatore ogni quattro minuti).
Il giocare si trova a metà strada tra il mondo della finzione e il mondo della realtà. Vargas è convinto che un’azione teatrale vissuta come un gioco risulti naturale, vera, carica di autenticità perché coloro che vi partecipano non si sentono costretti ad agire in modo predeterminato.
Possiamo considerare bravo un attore nella misura in cui mette in scena un pezzetto di realtà attraverso azioni fittizie, facendo sembrare il più possibile quest’ultime vere e naturali.
Lo spett-attore de los Sentidos, invece, non ha bisogno di convincere, di mostrare la veridicità del suo agire, perché porta semplicemente in scena, all’interno di una struttura ludica, un frammento della propria storia. Ciò che egli vive, dal momento in cui entra al momento in cui esce dal labirinto, è un gioco.
A mio avviso, una delle idee più rivoluzionarie di Artaud, la collocazione dello spettatore all’interno del cerchio [209] , è ben realizzata dal Teatro de los Sentidos che rompe la vecchia barriera tra attore, opera e pubblico.
Altri concetti-cardine sostengono la drammaturgia del linguaggio sensoriale, i tre principali sono: modellare lo spazio, scolpire l’oscurità e caricare il silenzio.
Dopo aver definito lo spettatore come un abitatore di uno spazio creato da altri ma che egli stesso contribuisce a creare, è più comprensibile ora intendere questi tre punti.
Nei suoi laboratori Vargas utilizza molto la penombra, i sapori, gli odori e invita spesso a muoversi nello spazio in silenzio, ad occhi chiusi, cercando di immaginare ma anche di sentire persone, cose e ambienti circostanti.
Durante il laboratorio-taller al quale ho preso parte a Barcellona nei giorni 15 e 16 marzo 2003, è emerso in modo chiaro il suo stile di lavoro: solitamente il gruppo è formato da una quindicina di persone che entrano velocemente in relazione tra loro grazie a dei giochi sensoriali che introducono i vari momenti di costruzione teatrale. I giochi basati sul tatto, ad esempio, sono tra i primi ad essere proposti perché aiutano l’immediato affiatamento tra i partecipanti al taller, ma i giochi basati sulla contrapposizione tra suono, rumore e silenzio sono altrettanto fondamentali per imparare a muoversi al buio senza urtare oggetti o persone con cui relazionarsi.
Si instaura un’alleanza forte tra silenzio e oscurità, quest’ultima diviene necessaria per motivare le immagini e Vargas la identifica come la qualità del silenzio. Durante il percorso dell’opera o del laboratorio la parola può essere sì utilizzata ma soltanto quando è più necessaria del silenzio. Esiste infatti un silenzio attivo che suggerisce azioni e pensieri ed è in sé stesso esauriente.
Pensiamo al silenzio richiesto da Marco Paolini al termine dell’orazione civile Vajont 9 ottobre ’63, che non vuol essere un silenzio “osservato, passivo”, bensì “la canzone” per le vittime di quel disastro annunciato.
Il Teatro de los Sentidos propone dunque una struttura basica sulla quale costruire gli spettacoli che, se permette suggerimenti ed evocazioni, verrà sempre sviluppata dai differenti spett-attori in modo unico e originale.
Vivere un viaggio sensoriale secondo le linee del Teatro de los Sentidos prevede un allenamento dei sensi in vista di determinate situazioni, come il trovarsi sdraiati a terra e l’essere delicatamente sollevati in aria sperimentando una leggerezza e una fiducia straordinariamente rare.
Modellare lo spazio, scolpire l’oscurità e caricare il silenzio sono obiettivi e insieme presupposti validi per la riscoperta di un linguaggio che non è quello convenzionale, ma che si basa sul non detto, su quella che viene definita memoria del corpo.
Chiudere gli occhi nella penombra, in un silenzio abitato dall’unico rumore del respiro, sentendo intorno un odore intenso di muschio è come leggere o scrivere una storia, per ognuno diversa e irripetibile.
Vargas parla di “tirannia del visuale” attaccando la nostra consueta modalità di comunicazione, perché se l’occhio domina, gli altri sensi muoiono.
Conosciamo principalmente attraverso la vista e l’udito, bombardati ogni giorno da milioni di immagini e da suoni per lo più assordanti. L’intento del Teatro de los Sentidos è invece quello di giocare con tutti i sensi in un continuo processo di trasformazione dove è necessario un equilibrio tra installazione plastica e azione teatrale.
Non so se sono riuscita a rendere almeno in parte quella che nel titolo ho definito “teoresi di Vargas”, ribadisco che la sua è un’esperienza di teatro-vita, un “attraversamento del nero”, dell’ignoto, per dirla con l’Artaud del teatro della crudeltà, è un percorso legato alle danze, ai riti, alle feste, ai giochi tradizionali delle popolazioni delle Ande.
Dalla dimensione del gioco e del vivere giocando perché piace e diverte, Enrique Vargas apprende l’idea della gratuità del teatro, di un teatro che non serve ma che ha un effetto destabilizzante e ludico (sai come entri e non sai come esci dal labirinto della trilogia), di un teatro che è strumento per incontrare sé stessi, le cose, gli altri o l’Altro, attraverso i sensi.
Un’esperienza tutta italiana molto simile a quella del Teatro de los Sentidos viene perseguita dal Teatro del Lemming che nasce a Rovigo nel 1987. Il leader della compagnia, Massimo Munaro, ritiene che lo spettatore debba vivere l’evento teatrale dal di dentro. Anche per il Lemming, la trasformazione dello spettatore in attore si attua attraverso il lavoro sui sensi [210] .
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N O T E - Capitolo II
[198] Assistente di Vargas. Rosa Romero nasce a Madrid nel 1961. Conosce il Taller (Laboratorio) dell’Indagine Sensoriale nel 1994, anno in cui decide di lasciare il suo lavoro come Direttrice Creativa di Pubblicità per unirsi al gruppo del Teatro de los Sentidos. Collabora alla realizzazione di Oracoli e La memoria del vino. Crea con Enrique Vargas la Scuola Internazionale di Drammaturgia dell’Immagine Sensoriale a Mostoles.
[199] Così è definita poichè propone scenograficamente un percorso labirintico che gli spettatori sono invitati ad attraversare individualmente.
[200] Cit., in www.teatrodelossentidos.com.
[201] Ibidem.
[202] Cit., in www.emiliaromagnateatro.com.
[203] Cit., in www.teatrodelossentidos.com.
[204] Cit., in www.emiliaromagnateatro.com.
[205] Cit., in www.stradanove.net.
[206] Ibidem.
[207] A. ARTAUD, Il teatro e il suo doppio… cit., p. 198.
[208] L’attore de los Sentidos sparisce e trascina l’attenzione dello spettatore verso la storia e non verso sé stesso.
[209] A. ARTAUD, Il teatro e il suo doppio… cit., p. 198.
[210] Il Teatro del Lemming, nel 1997, ha presentato Edipo - Tragedia dei sensi per uno spettatore, dove lo spettatore bendato ripercorre il mito; nel 1998 Dioniso – Tragedia del teatro, dove nove spettatori sono posti di fronte a nove attori per un coinvolgimento sensoriale e drammaturgico; nel 1999 Amore e Psiche – Una favola per due spettatori e nel 2000 Odisseo (www.centroteatri.com).
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