i X tesi



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CAPITOLO III
L’ultimo passo verso una disciplina "unica"
di diritto agrario ereditario: la legge n. 97 del 31 gennaio 1994.

3.1 Gli articoli 4 e 5 della "legge sulla montagna".
3.2 La legge n. 97 del 1994 come ipotesi di acquisto coattivo del diritto di proprietà.
3.3 Profili di incostituzionalità.
      - Note -


3.1 Gli articoli 4 e 5 della "legge sulla montagna".


Al complesso mosaico del diritto agrario ereditario [1], che riunisce multiformi frammenti di normative reperibili all'interno del nostro ordinamento, il legislatore ha aggiunto una nuova tessera, costituita anche in questo caso non da una legge ad hoc completa ed esaustiva, in grado di cogliere ed appagare le molteplici esigenze legate alle successioni agrarie [2]; bensì da disposizioni isolate, inserite in un provvedimento normativo di più ampia portata che trascende i confini delle successioni.

Si tratta degli artt. 4 e 5 della legge 31 gennaio 1994, n. 97 recante "Nuove disposizioni per le zone montane" i quali così recitano:

Art. 4, comma I. Nei comuni montani, gli eredi considerati affittuari ai sensi dell'art. 49 legge 3 maggio 1982, n. 203, delle porzioni di fondi rustici ricomprese nelle quote degli altri coeredi hanno diritto, alla scadenza del rapporto di affitto instauratosi per legge, all'acquisto della proprietà delle porzioni medesime, unitamente alle scorte, alle pertinenze ed agli annessi rustici.

Comma II. Il diritto di cui al comma I è acquistato a condizione che i predetti soggetti dimostrino: a)di non aver alienato, nel triennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire 5000, salvo il caso di permuta o cessione a fini di ricomposizione fondiaria; b) che il fondo per il quale intendono esercitare il diritto, in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà o enfiteusi, non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa loro o della loro famiglia; c) di essere obbligati, con la dichiarazione di cui all'art. 5, comma I, a condurre o coltivare direttamente il fondo per almeno sei anni.

Art. 5, comma I. Gli eredi che intendono esercitare il diritto di cui all'art. 4 devono, entro sei mesi dalla scadenza del rapporto di affitto, notificare ai coeredi, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la dichiarazione di acquisto e versare il prezzo entro il termine di tre mesi dalla avvenuta notificazione della dichiarazione.

Comma II. Il prezzo di acquisto è costituito, al momento dell'esercizio del diritto, dal valore agricolo medio determinato ai sensi dell'art. 4 della legge 26 maggio 1965, n. 590.

Comma III. Qualora i terreni oggetto dell'acquisto siano utilizzati, prima della scadenza del periodo di cui all'art. 4, comma II, lettera c), a scopi diversi da quelli agricoli, in conformità agli strumenti urbanistici vigenti, gli altri coeredi hanno diritto alla rivalutazione del prezzo in misura pari alla differenza tra il corrispettivo già percepito, adeguato secondo l'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività nazionale rilevato dall'ISTAT, ed il valore di mercato conseguente alla modificazione della destinazione dell'area.

Comma IV. Il prezzo di acquisto delle scorte, delle pertinenze e degli annessi rustici è determinato, al momento dell'esercizio del diritto, dall'Ispettorato provinciale dell'agricoltura o dall'organo regionale corrispondente.

Comma V. In caso di rifiuto a ricevere il pagamento del prezzo da parte del proprietario, gli eredi devono depositare al somma presso un istituto di credito nella provincia dove è ubicato il fondo, dando comunicazione al proprietario medesimo, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, dell'avvenuto deposito. Dalla data della notificazione si acquisisce la proprietà.

Comma VI. Agli atti di acquisto effettuati ai sensi della presente legge da coltivatori diretti o imprenditori agricoli a titolo principale, si applicano le agevolazioni fiscali e creditizie previste per l'affermazione e l'arrotondamento della proprietà coltivatrice.

La normativa contenuta nei due articoli sembra colmare una lacuna dell'art. 49 della legge 3 maggio 1982, n. 203, sotto il profilo della relativa configurabilità come potenziale strumento di soluzione al problema del diritto agrario ereditario. L'art. 49, legge n. 203 del 1982, infatti, com'è noto, attraverso il discutibile meccanismo del c.d. "affitto coattivo", garantiva l'integrità del fondo agricolo caduto in successione, per un periodo di quindici anni, corrispondente alla durata legale minima dei contratti di affitto di fondo rustico di nuova stipulazione, ex art. 1 della stessa legge. Decorso tale periodo, si riapriva l'eventualità di una frammentazione del fondo, a seguito del potenziale recupero da parte dei coeredi esclusi della integrale disponibilità delle quote di quest'ultimo loro spettanti; ciò in quanto l'art. 49 non conteneva alcuna previsione circa la sorte del fondo medesimo alla cessazione del rapporto contrattuale quindicennale.

Ad ovviare alle conseguenze negative del silenzio del legislatore sul punto, intervengono gli artt. 4 e 5 della legge del 1994, che, alla scadenza del rapporto di affitto instauratosi ex art. 49, riconoscono, in presenza di determinate condizioni, agli eredi affittuari delle porzioni di fondo rustico ricomprese nelle quote degli altri coeredi concedenti forzosi, il diritto di acquistare coattivamente, da questi ultimi, la proprietà delle porzioni medesime, unitamente alle scorte, alle pertinenze ed agli annessi rustici [3].

Lo spazio di operatività di questa importante normativa è peraltro espressamente limitato ai Comuni montani, cioè a quei comuni che fanno parte di Comunità montane o sono comuni interamente montani classificati tali ai sensi della legge 3 dicembre 1971, n. 1102 e successive modificazioni.

Questo particolare àmbito di applicabilità della normativa consente di poter affermare che in tale fattispecie le esigenze di conservazione dell'unità aziendale si coniugano con quelle più generali di tutela delle zone montane.

Gli aspetti di maggior interesse che la disposizione presenta sono essenzialmente sei: a) l'àmbito territoriale di applicazione della disciplina in esame che, come già detto, è circoscritto ai comuni montani; b) interessante è anche l'espressione "eredi considerati affittuari"; occorre poi chiarire : c) quale sia il momento di nascita del diritto; d) come possa essere esercitato in caso di pluralità di beneficiari; e) il significato del riferimento alle scorte, pertinenze ed annessi rustici, ed f) la natura del diritto in questione.

Il secondo punto indica che, risulta di un certo interesse il testo dell'art. 4, laddove precisa che gli eredi preferiti ex art. 49, I comma, non sono affittuari, bensì devono essere "considerati" tali. Questa piccola differenza terminologica è dovuta al legislatore, il quale, sembra così chiarire che, ai sensi dell'art. 49, legge 203\82, non si instaura un contratto di affitto in senso tecnico tra coeredi beneficiari e coeredi sfavoriti, mancando, invero, un contratto tra costoro. Si viene a porre in essere, invece, un rapporto giuridico per effetto dell'atto di esercizio di un diritto attribuito a determinati coeredi direttamente dalla legge.

Per quanto riguarda il terzo punto, l'art. 4 stabilisce che il diritto all'acquisto coattivo della proprietà del fondo viene in essere solamente alla scadenza del rapporto instauratosi ex art. 49, I comma, legge 203\82. Il primo comma dell'art. 5 della legge n. 97\94, precisa che l'esercizio del diritto deve avvenire "entro sei mesi dalla scadenza del rapporto di affitto", interpretando quanto detto come indicazione di un termine massimo per l'esercizio del diritto, senza che l'avvenuta scadenza del rapporto possa considerarsi elemento essenziale per lo stesso esercizio.

Nel casi vi siano più eredi (punto "d") in condizione di esercitare il diritto all'acquisto, in quanto parti del rapporto instauratosi ex art. 49, I comma, è possibile osservare che i requisiti richiesti dalla legge 97\94 sono impostati su base individuale. Inoltre non emergono nel dettato normativo elementi che escludano la possibilità di un esercizio disgiunto del diritto in questione. Pertanto, non sembra necessario l'assenso di tutti i soggetti interessati per l'acquisto de quo: nel caso che solo alcuni dei coeredi beneficiari decidano di non esercitare il diritto all'acquisto, tale circostanza non sarà ostativa all'esercizio del diritto da parte degli altri che, comunque, avranno sempre ad oggetto, in conformità al dettato legislativo ed alla sua ratio, tutte le porzioni del fondo già godute in forza del rapporto ex art. 49.

Il significato del riferimento alle scorte, pertinenze ed annessi rustici (punto "e"), indica che il diritto attribuito agli eredi beneficiari riguarda la proprietà non del solo fondo rustico, ma anche di quanto sopra indicato [4].

Per concludere, si può osservare che il diritto previsto all'art. 4, legge 97\94, possiede tutti i caratteri del diritto potestativo, intendendo per tale "il potere di incidere sull'altrui sfera giuridica mediante atto unilaterale; a tale potere è correlativa, dal lato passivo, una situazione di soggezione, intesa nel senso che il soggetto passivo del rapporto nulla deve fare, ma nemmeno nulla può fare per impedire che la sua sfera giuridica venga ad essere modificata dall'atto di esercizio del diritto potestativo [5]. Invero i coeredi esclusi si trovano in una posizione di mera soggezione al volere dei coeredi preferiti, potendo impedire l'acquisto solo contestando la mancanza di almeno uno dei presupposti richiesti dalla legge per la nascita dello stesso diritto all'acquisto.

Le disposizioni in esame possono dunque agevolmente ricondursi a quella serie di interventi legislativi, alcuni dei quali ormai datati, finalizzati al recupero ed alla valorizzazione sotto il profilo economico e sociale della montagna [6]. E tra questi, in particolare, a quelli che si possono qualificare come "aspetti privatistici" del regime giuridico delle zone montane. Con tale termine si intende indicare una particolare gamma di disposizioni reperibili all'interno del diritto agrario, il cui àmbito di applicazione è specificamente ed esclusivamente circoscritto ai territori montani, con finalità di salvaguardia di questi ultimi, e che attengono ai rapporti fra privati.

Si possono focalizzare tracce di questi c.d. "aspetti privatistici" del regime giuridico della montagna, all'interno della legge 3 maggio 1982, n. 203, agli artt. 3 e 52,che prevedono una contrazione della durata minima del rapporto negoziale di affitto di fondo rustico a quella quindicennale ordinaria, nell'ipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto fondi situati in zone montane [7]; nella normativa di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 346 e all'art. 1159 bis del codice civile, relativa all'usucapione speciale agraria, con riferimento ai terreni montani; nelle disposizioni contenute nella legge 10 maggio 1976, n. 352, e, infine, nel particolare regime del c.d. "maso chiuso".

Occorre ancora considerare un altro importante punto: l'assoluta indifferenza mostrata dalla disposizione in oggetto in relazione allo stato di comunione o, all'opposto, di divisione del compendio ereditario e, in particolare, del fondo rustico in esso ricompreso.

Invero, non è detto che al momento della scadenza del rapporto regolato dalle norme sull'affitto sia necessariamente già cessato lo stato di comunione ereditaria. Se, nel frattempo, è stata posta in essere la divisione dell'asse ereditario, nulla quaestio. Qualora persista lo stato di comunione ereditaria, nel silenzio sul punto, si deve ritenere che la legge n. 97 del 1994, in deroga alla regola generale che sottopone gli atti dispositivi aventi ad oggetto porzioni determinate di beni comuni alla condizione sospensiva che le dette porzioni siano in sede di divisione assegnate al disponente, attribuisca comunque ai coeredi beneficiari, come si evince da una lettura unitaria degli artt. 4 e 5, il diritto all'acquisto delle porzioni con effetto immediato: non subordinato, cioè, all'effettiva divisione [8].

  



3.2 La legge n. 97 del 1994 come ipotesi di acquisto coattivo del diritto di proprietà.


Dalla lettura del I comma dell'art. 4 della legge n. 97 del 1994, emerge la configurazione di una complessa fattispecie nell'àmbito della quale la titolarità da parte dell'erede preferito di un rapporto di affitto imposto ex lege (art. 49, I comma, della legge n. 203) ai coeredi, sulle porzioni di fondo del de cuius loro spettanti, genera a sua volta, al momento della scadenza del rapporto negoziale, il diritto potestativo di acquisire coattivamente dagli stessi coeredi concedenti forzosi la titolarità del diritto di proprietà sulle porzioni medesime, unitamente alle scorte, alle pertinenze ed agli annessi rustici [9].

E' opportuno precisare immediatamente che l'acquisto di cui all'art. 4, come già il suo precedente contenuto nell'art. 49 della legge 203, è coattivo esclusivamente nei confronti dei coeredi forzati venditori; mentre è lasciata agli eredi preferiti la scelta se esercitare o meno il loro diritto [10]. Ciò emerge chiaramente dall'art. 5 della legge, laddove quest'ultima normativa contempla le modalità relative all'esercizio del diritto di cui all'art. 4 alle quali i coeredi preferiti devono attenersi qualora "intendano" avvalersi effettivamente di quest'ultimo: tale disposizione sembra dunque presupporre la possibilità per gli eredi di fare una scelta diversa nel senso di decidere di non esercitare il diritto loro spettante.

Questa particolare disciplina ereditaria contenuta nell'art. 4 stimola una serie di considerazioni sotto il profilo della singolare commixtio che sembra realizzare, con riferimento ai requisiti richiesti, tra normativa successoria e normativa sulla "prelazione".

A tale proposito, è opportuno sottolineare, anzitutto, che il meccanismo dinamico della prelazione è, come vedremo, completamente diverso da quello dell'acquisto coattivo prospettato dall'art. 4.

La commixtio tra i due istituti è dunque legata soltanto alla presenza di una quasi totale identità dei requisiti contemplati dalle due rispettive normative. Come abbiamo visto, infatti, i requisiti elencati nel II comma dell'art. 4 appaiono plasmati sulla falsariga di quelli richiesti ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione. Non si può, peraltro, parlare di una vera e propria coincidenza, in quanto sono ravvisabili alcune differenze di rilievo nelle relative indicazioni, già messe in luce dai primi commenti dottrinali alla disposizione [11].

D'altro canto, la sostanziale diversità del meccanismo dinamico dei due istituti si rileva nella circostanza che quei requisiti legittimano l'acquisto del diritto di proprietà indipendentemente da qualsiasi manifestazione di volontà del proprietario o dei proprietari, diretta al trasferimento del diritto medesimo; mentre con riferimento alla prelazione, consentono a chi li possiede di essere preferito rispetto ad altri nell'acquisto del diritto di proprietà, in presenza di una espressa manifestazione da parte del proprietario, della sua volontà di alienare il bene.

Ci troviamo dunque al cospetto di due diverse forme di limitazione dell'autonomia negoziale, delle quali l'una, cioè quella contemplata dall'art. 4, è di gran lunga più incisiva e penetrante dell'altra, in quanto comporta una totale emancipazione dalla volontà del proprietario [12].

Non è la prima volta che all'interno del nostro ordinamento si assiste ad un intreccio tra successione ereditaria e prelazione.

Il pensiero va anzitutto all'art. 732 del codice civile che disciplina la c.d. "prelazione del coerede". Questa disposizione contempla l'ipotesi in cui, in costanza di comunione ereditaria, uno dei coeredi intenda alienare ad un estraneo la sua quota di eredità o parte di essa, e riconosce agli altri coeredi il diritto di prelazione all'acquisto di quest'ultima ed il correlativo diritto di riscatto. L'innesto del meccanismo della prelazione sulla normativa successoria in questa particolare fattispecie, risponde a finalità che sono state, poi, individuate dalla dottrina in modo non univoco. In altre parole, l'art. 732 del codice attribuirebbe un privilegio ai coeredi non in quanto "non estranei", ma semplicemente come "coeredi" [13].

In alcuni casi, poi, questa sorta di combinazione tra prelazione e successione sembra rispondere alla particolare duplice funzione che ritroviamo sottesa agli artt. 4 e 5: privilegiare in sede ereditaria determinate categorie di soggetti e, allo stesso tempo, conservare l'integrità aziendale. Ci si riferisce, in particolare, al disposto dell'art. 8, III comma della legge 26 maggio 1965, n. 590 e a quello dell'art. 230-bis, V comma, del codice civile.

Il terzo comma dell'art 8 della legge del 1965 contempla l'ipotesi in cui uno dei componenti della famiglia coltivatrice intenda alienare una quota di fondo rustico, in costanza di comunione ereditaria; e riconosce agli altri componenti il diritto alla prelazione nell'acquisto di detta quota, sempre ché siano coltivatori manuali o continuino l'esercizio dell'impresa familiare in comune.

Il quinto comma dell'art. 230-bis del codice civile attribuisce ai familiari partecipi all'impresa familiare il diritto di prelazione sull'azienda, nell'ipotesi di divisione ereditaria, oltre che nel caso di trasferimento di quest'ultima per atto inter vivos.

Le due disposizioni ricordate, l'art. 8, terzo comma della legge del 1965 e l'art. 230-bis, quinto comma, del codice civile, appaiono ispirate alla medesima ratio che, a sua volta, presenta elementi di affinità con quella sottesa alla disciplina di cui all'art. 4 della legge n. 97 del 1994. In quest'ultima normativa il meccanismo successorio, nelle prime due quello della prelazione, sono attivati allo scopo di garantire l'integrità dell'azienda oggetto della successione mortis causa e di privilegiare, al contempo, determinate categorie di soggetti che si identificano, nell'art. 8, terzo comma della legge del 1965, e nell'art. 230-bis del codice civile, rispettivamente con i componenti dell'impresa familiare coltivatrice (art. 8, III comma) e con i partecipi all'impresa familiare (art. 230-bis); nell'art. 4 della legge del 1994, con l'erede ex affittuario forzoso in possesso dei requisiti prescritti.

Con riferimento in particolare alla fattispecie di cui al V comma dell'art. 230-bis, sarebbe forse possibile cogliere ulteriori elementi di affinità in termini di acquisto coattivo.

Ci conduce a questa conclusione l'adesione a quella particolare lettura del V comma dell'art. 230-bis che nega alla prelazione contemplata dalla norma, natura di prelazione in senso tecnico, come da altri viceversa sostenuto [14], e la configura in termini di "diritto all'acquisto coattivo" che i familiari partecipi vantano nei confronti dei coeredi non partecipi [15].

Le argomentazioni addotte a sostegno di questa tesi sono note: si evidenzia la duplice circostanza che nel nostro ordinamento la prelazione è generalmente collegata ad atti di trasferimento, mentre nel caso di specie sarebbe legata ad una divisione ereditaria; e che non sarebbe possibile nell'ipotesi de qua individuare un terzo rispetto al quale i familiari vengono preferiti; oltre alla considerazione che non sembrerebbe agevolmente verificabile quella parità di condizioni sulla cui base può scattare la prelazione [16].

Siamo dunque di fronte ad un importante precedente di acquisto coattivo, di portata indubbiamente più ampia rispetto a quello di cui alla legge del 1994, dal momento che l'art. 230-bis spazia nel suo potenziale àmbito operativo, ben oltre i ristretti confini dell'agricoltura.

Un altro significativo precedente di acquisto coattivo è ravvisabile nella disposizione contenuta nel X comma dell'art. 8 della legge n. 590 del 1965. La norma contempla la fattispecie in cui il componente di una famiglia coltivatrice abbia cessato di far parte della conduzione colonica comune e non abbia venduto nei cinque anni decorrenti dal giorno in cui ha lasciato l'azienda, la quota di fondo di sua spettanza. In presenza di tali presupposti, la disposizione in esame riconosce agli altri componenti, il diritto di riscattare la predetta quota al prezzo ritenuto congruo dall'Ispettorato provinciale dell'agricoltura, con le agevolazioni previste dalla legge medesima, sempre che l'acquisto sia fatto allo scopo di assicurare il consolidamento di un'impresa familiare coltivatrice di dimensioni economicamente efficienti [17].

Parte della dottrina ha ritenuto di poter individuare tra le due fattispecie, quella di cui all'art. 4 della legge n. 97 del 1994 e l'altra di cui all'art. 8, X comma della legge n. 590, una sostanziale identità tra gli scopi ad esse sottesi: tali scopi si identificherebbero nella tutela di interessi di determinati soggetti alla continuazione dell'esercizio della loro attività imprenditoriale, nella garanzia dell'integrità dell'azienda e, dunque, nel consolidamento della stessa impresa agricola; e, infine, in ultima analisi, nella coincidenza da realizzare tra la titolarità del diritto di proprietà e l'effettivo esercizio dell'attività sul bene [18].

Ma la lettura in parallelo delle stesse conduce ad abbandonare l'idea di una loro perfetta coincidenza, e questo per le diversità dei presupposti ai quali quegli strumenti sono correlati.

Il meccanismo di cui all'art. 8, X comma e quello della prelazione agraria si attivano a causa e in seguito ad un comportamento "volontario" del soggetto che subisce rispettivamente la vanificazione o la limitazione della sua autonomia negoziale e del suo diritto di proprietà relativi al fondo o ad una sua quota; l'acquisto coattivo di cui all'art. 4 della legge del 1994 prescinde completamente non solo dalla espressa manifestazione di volontà, ma anche da qualsiasi comportamento dei soggetti che devono subirlo.

L'imposizione della limitazioni del diritto di proprietà e dell'autonomia negoziale, che si concretizza nell'imposizione dell'acquisto coattivo, sembra colorarsi di una sfumatura sanzionatoria nei confronti del soggetto che è tenuto a subirlo, legata alla circostanza che quest'ultimo, pur avendo la disponibilità del fondo, ha operato la scelta di non esercitare su di esso attività agricola.

Ai sensi dell'art. 4 della legge n. 97 del 1994, la limitazione dell'autonomia negoziale e del diritto di proprietà, in cui si traduce l'acquisto forzoso, prescinde completamente non solo dalla volontà, ma anche da un qualsiasi comportamento dei soggetti che sono tenuti a subirla.

Non si riscontra dunque, nella normativa del 1994, e non può essere altrimenti, quella parvenza di intento sanzionatorio che appare emergere, invece, nella disposizione di cui all'art. 8 della legge del 1965. Sembra invece riproporsi anche in questa ipotesi il parallelismo che, a suo tempo, è stato evidenziato tra la disposizione di cui all'art. 49 I comma della legge n. 203 ed il regime dell'assegnazione di terre. Dal punto di vista delle profonde diversità che le connotano è chiaro che, mentre nei provvedimenti sull'assegnazione di terre, l'imposizione dell'affitto coattivo ha una funzione sanzionatoria nei confronti del proprietario oggetto dell'assegnazione, dal momento che è conseguente ad un suo comportamento di abbandono o di cattiva gestione del fondo stesso; nell'affitto coattivo dell'art. 49 non si ravvisa un intento penalizzante del legislatore, dal momento che viene imposto a soggetti, i coeredi esclusi, i quali, come nell'ipotesi di cui alla legge del 1994, non avevano avuto fino a quel momento la possibilità materiale e giuridica di coltivare il fondo, in quanto non era loro; e, d'altra parte, le potenziali aspettative di gestirlo una volta che ne avessero acquistato la proprietà per successione ereditaria, risultano di fatto vanificate dalla immediata sottrazione della disponibilità del medesimo derivante dall'imposizione dell'affitto coattivo ex art. 49 della legge n. 203 [19].

  



3.3 Profili di incostituzionalità.


Le considerazioni esposte circa gli artt. 4 e 5 della legge del 1994 inducono a manifestare non poche perplessità circa la conformità delle disposizioni in esame ai princìpi sanciti dalla Costituzione.

La fondatezza delle riserve in tal senso appare ancor più plausibile se si analizza la questione alla luce di tre importanti spunti di riflessione: l'esistenza di un evidente parallelismo tra le norme in oggetto e l'art. 49, I comma, della legge n. 203, sotto il profilo della imposizione coattiva degli effetti di un rapporto negoziale non voluto, rispettivamente di vendita e di affitto; le argomentazioni a suo tempo addotte dalla Corte Costituzionale per respingere le censure di incostituzionalità mosse al I comma dell'art. 49 [20]; la indubbia maggiore gravità delle conseguenze a carico dei coeredi esclusi che derivano dalla applicazione degli artt. 3 e 4, rispetto a quelle legate all'art. 49, in quanto alla luce della legge n. 97 del 1994 a tali soggetti viene sottratto non il mero godimento temporaneo del fondo, bensì lo stesso diritto di proprietà sul fondo medesimo.

La Corte Costituzionale con sentenza 31 maggio 1988, n. 597 ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, I comma della legge n. 203 del 1982.

Viene spontaneo chiedersi quale orientamento la Corte potrebbe seguire a fronte di un'ordinanza di rimessione che sollevasse la questione di legittimità costituzionale di tali disposizioni, con riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione. Non mi pare, infatti, dubbio che gli artt. 4 e 5, oltre a suscitare le stesse perplessità sorte in relazione all'art. 49, I comma, sotto il profilo dei criteri in forza dei quali è stato o sono stati scelti l'erede o i coeredi preferiti, inducono a formulare ancor più profonde riserve, dal punto di vista dell'aderenza ai princìpi della Costituzione, con riferimento all'ambito della tutela offerta ai coeredi medesimi. Non siamo, infatti, più in presenza di quella mera "limitazione temporanea" del godimento del fondo, dato quest'ultimo che ha consentito alla Corte di respingere l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 49, I comma; ma le nuove norme sembrano operare una vera e propria forma di espropriazione dello stesso diritto di proprietà.

Dalla loro applicazione, dunque, deriverebbe quella particolare conseguenza, l'espropriazione del diritto di proprietà, la cui assenza nelle previsioni dell'art. 49, I comma, sottolineata dalla sentenza ricordata, aveva costituito il perno delle argomentazioni addotte dalla Corte al fine di respingere le censure di illegittimità costituzionale mosse a quest'ultima norma.

Resta da vedere se una eventuale censura di incostituzionalità degli artt. 4 e 5 possa essere arginata sulla base della considerazione che tali disposizioni appaiono riconducibili al più general favor riservato dal legislatore alle zone montane e legato, a sua volta, alle particolari condizioni socio-economiche che caratterizzano queste ultime. In altre parole, la limitazione dei diritti ereditari dei coeredi esclusi e la "espropriazione" del loro diritto di proprietà sulle quote di fondo, potrebbe forse essere giustificata dalla necessità di tutelare e garantire un interesse, quello della salvaguardia delle zone montane, che alla pari di quelli lesi dalle norme in esame, trova nella Costituzione espresso riconoscimento e garanzia di tutela (art. 44, u.c.) [21].

Ovviamente i dubbi di costituzionalità, con riferimento peraltro esclusivamente a quelli legati alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, potrebbero essere fugati se si accogliesse un'interpretazione del privilegio riconosciuto agli eredi preferiti dalle disposizioni de quibus come acquisto iure proprio e non iure hereditario. A suo tempo, in relazione al diritto all'affitto coattivo di cui all'art. 49, I comma, la dottrina era apparsa divisa circa la qualificazione del medesimo in termini di acquisto iure proprio o, viceversa, di acquisto iure hereditario [22]. La sentenza della Corte Costituzionale, sopra ricordata, sembra propendere per quest'ultima interpretazione, dal momento che ha addotto argomentazioni che presuppongono la qualificazione del diritto all'affitto coattivo ex art. 49, I comma, come acquisto iure hereditario. Ora, poiché l'acquisto coattivo della proprietà, di cui agli artt. 4 e 5, rappresenta un effetto ulteriore del particolare regime preferenziale riservato all'erede preferito dall'art. 49, anch'esso coerentemente dovrebbe essere vagliato dalla Corte Costituzionale sotto il profilo della sua coerenza ai princìpi sanciti dalla Costituzione, come acquisto iure hereditario. E, indubbiamente, alla luce di tale qualificazione si prospettano con tutta evidenza quei dubbi di costituzionalità sopra manifestati e relativamente ai quali la Corte dovrebbe essere effettivamente chiamata a pronunciarsi.

La posizione privilegiata che le norme vengono a creare è legata alla finalità di realizzare la continuità dell'esercizio dell'impresa agricola sul fondo acquistato coattivamente; va altresì sottolineato che tale obiettivo non appare, nell'ambito della normativa del '94, adeguatamente garantito, proprio in quanto quest'ultima non sembra colpire con una sanzione ad hoc la cessazione dell'esercizio dell'attività agricola da parte dell'erede preferito. Se è vero, infatti che la lettera c) dell'art. 4, II comma, impone agli eredi preferiti l'obbligo di condurre o coltivare direttamente il fondo per almeno sei anni; è altrettanto vero però che tale disposizione non è supportata da alcuna ulteriore previsione circa le conseguenze che possono derivare dal venir meno a questo impegno. In tal senso la norma sembra ricalcare le orme segnate dall'art. 28, II comma della legge 26 maggio 1965, n. 590, in materia di prelazione agraria, che vietata la vendita infradecennale del fondo acquistato attraverso l'esercizio del diritto di prelazione o quello di riscatto [23].

I dubbi circa la costituzionalità degli artt. 4 e 5 sono avvalorati anche da considerazioni legate alla terminologia usata dal legislatore per indicare ciò che forma oggetto del diritto all'acquisto coattivo. Anche sotto questo profilo, si assiste, ad un ampliamento della posizione privilegiata riservata ai coeredi preferiti, rispetto a quella offerta loro dall'art. 49 della legge n. 203. Mentre, infatti, oggetto dell'affitto coattivo sono esclusivamente le porzioni di fondo attribuite in eredità ai coeredi esclusi; l'acquisto coattivo si estende anche alle scorte, alle pertinenze ed agli annessi rustici. La dizione letterale dell'art. 4 della legge del '94 sembra dunque profilare una sorta di successione privilegiata nella titolarità non solo del fondo relitto, ma anche di tutto il complesso dei beni aziendali utilizzati dal de cuius per l'esercizio dell'impresa agricola sul fondo medesimo.

L'ampiezza delle nuove previsioni contenute nell'art. 4, I comma consente, tra l'altro, di evitare rispetto ad esse il riproporsi del problema assai complesso che viceversa era legato all'interpretazione dell'art. 49, I comma: a fronte del riferimento letterale al solo fondo rustico, ci si chiedeva, infatti, se tale termine dovesse essere inteso in senso letterale o potesse essere interpretato estensivamente, riferito, cioè, al complesso dei beni aziendali [24].

Da un altro punto di vista, questa diversità terminologica solleva un diverso ordine di problemi relativi, in questo caso, al coordinamento delle rispettive previsioni: ciò in quanto agli stessi soggetti ai quali sulla base dell'interpretazione letterale dell'art. 49, I comma, spettava esclusivamente il diritto di godimento sulle quote di fondo; ora, ex art. 4 della legge del '94, viene riconosciuto il diritto all'acquisto coattivo anche delle scorte, delle pertinenze e degli annessi rustici, di beni, cioè, di cui in precedenza non erano in godimento [25]. La questione potrebbe essere risolta se si accogliesse un'interpretazione estensiva del termine "fondo" di cui all'art. 49 ma, varie considerazioni inducono a respingere tale possibilità e ad optare per un'interpretazione letterale [26].

Sotto un profilo più generale, l'indicazione relativa all'oggetto dell'acquisto contenuta nell'art. 4 della legge del '94, potrebbe forse essere considerata come sintomo di un parziale superamento da parte del legislatore di quella atavica concezione fondiaria dell'azienda agricola che aveva imperato fino a non molto tempo fa sulla scena del diritto agrario.

Ma gli entusiasmi che la norma sembra poter suscitare potrebbero essere frenati dalla nebulosità e contraddittorietà delle indicazioni che essa offre circa la definizione dei beni diversi dal fondo come beni aziendali. Il suo I comma, infatti, accomuna nello stesso destino le scorte, sicuramente riconducibili al concetto di azienda, e, dunque, di impresa; e le pertinenze [27], categoria di beni che, viceversa, appare legata direttamente ed esclusivamente al concetto di proprietà.

  


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    N O T E - Capitolo III
  1. Vedi in proposito Nicoletta Ferrucci, Una nuova tessera del mosaico del diritto agrario ereditario, in Dir. e Giur. agr. e dell'amb., I, 1996, p. 573
  2. Si segnala come pietra miliare del dibattito dottrinale sull'argomento, che per la prima volta ha efficacemente messo a fuoco i problemi legati alla applicazione dell'ordinario regime ereditario di matrice codicistica alle successioni agrarie, ed ha suggerito le linee di tendenza da seguire nella elaborazione di un vero e proprio diritto agrario ereditario, A. Carrozza, Per un diritto agrario ereditario, in Riv. dir. civ., 1978, p. 758.
  3. Si registrano in dottrina le prime note di commento a queste nuove disposizioni. Vedi, in argomento: A. Abrami, Una nuova legge per la montagna, in Dir. e giur. agr. e dell'ambiente, 1994, I, p. 473.
  4. Sulla quale cfr. A. Carrozza, Lezioni di diritto agrario, I, Milano, 1988, p. 303 ss.; E. Romagnoli, Scorte, in Enc. dir., vol XLI, 1989, p. 880 ss.; Id., Scorte vive e morte, in Noviss. dig. it., vol. XVI, 1969, p. 789 ss.
  5. Così B. Carpino, Diritti potestativi, in Enc. giur. Treccani, vol. XI, 1989, p. 1, voce su cui si rinvia anche per un'esauriente trattazione della figura in discorso.
  6. Per una panoramica degli interventi legislativi finalizzati alla tutela delle zone montane, vedi, per tutti: C. Desideri, voce Montagna, in Encicl. del dir., XXVI, Milano, 1976, p. 878
  7. G. G. Casarotto, Commento agli artt. 4 e 5, in La nuova legge sulla montagna. Commentario alla legge 31 gennaio 1994, n. 97, coordinato da L. Costato, in Riv. dir. agr., 1994, I, p. 587
  8. Vedi Luigi Russo, Dall'art. 49, I comma della legge n. 203\82 agli artt. 4 e 5 della legge n. 97\94, in Dir. giur. agr. ambientale, 1994, I, p. 606.
  9. M. P. Ragionieri, Prelazione e diritto all'acquisto nella legge n. 97 del 1994, in Dir. e giur. agr. e dell'ambiente, 1994, I, p. 605
  10. Di opinione contraria appare Abrami, laddove sostiene che il diritto all'acquisto coattivo "viene esercitato per il solo fatto di trovarsi nelle condizioni di affittuario, indipendentemente cioè da qualsiasi manifestazione di volontà dell'erede che già potrebbe dedicarsi alla coltivazione di altro fondo": Id., Una nuova legge per la montagna, cit., p. 473.
  11. Vedi, per tutti, L. Russo, Dall'art. 49, I comma, della legge n. 203\82, agli artt. 4 e 5 della legge n. 97\1994, in Dir. giur. agr. ambientale, 1994, I, p.605 ss.
  12. Nicoletta Ferrucci, Una nuova tessera del mosaico del diritto agrario ereditario, in Dir. e giur agr. e dell'ambiente, 1996, I, p.573 ss.
  13. In tal senso, cfr. P. Forchielli, Della divisione, sub art. 732, in Comm. al codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1970, p. 164.
  14. A favore della configurabilità della prelazione di cui al V comma dell'art. 230-bis come prelazione in senso tecnico, v. F. D. Busnelli, La prelazione nell'impresa familiare, in Riv. not., 1981, I, p. 824
  15. V. C. A. Graziani, La successione agraria tra astigmatismo e miopia, in Nuovo dir. agr., 1983, P. 489. Prendendo le mosse dal comune presupposto che nega alla "prelazione" di cui all'art. 230-bis natura di prelazione in senso tecnico, altra parte della dottrina prospetta ipotesi ricostruttive diverse, che oscillano dalla configurazione in termini di "mera preferenza"; alla qualificazione come "diritto all'assegnazione preferenziale dell'azienda".
  16. Cfr. C. A. Graziani, loc. ult. cit.
  17. Paolo De Martinis, L'acquisto coattivo della proprietà previsto dalla legge n. 97 del 1994, in Riv. dir. agr., I, 1994, p. 401 ss.
  18. Vedi, in tal senso, M. P. Ragionieri, Prelazione e diritto all'acquisto, cit., p. 669.
  19. Per queste argomentazioni, vedi G. De Nova, Il principio di unità della successione, cit., p. 572. Ha manifestato qualche riserva in ordine ad esse, E. Casadei, Le nuve norme della legge 3 maggio 1982, n. 203, in materia di successioni agrarie, in Rass. dir. civ., 1984, p. 25.
  20. Sentenza 31 maggio 1988, n. 597, il cui testo è pubblicato in Riv. dir. agr., 1989, II, p. 215, con nota di A. Marzoli, La Corte conferma la legittimità costituzionale dell'art. 49, I comma, legge 3 maggio 1982, n. 203; in Foro it., 1988, I, c. 3657, con nota di D. Bellantuono.
  21. Nicoletta Ferrucci tratta il problema della incostituzionalità relativo agli artt. 4 e 5 della legge n. 97 del 1994 in Una nuova tessera del mosaico del diritto agrario ereditario, gli artt. 4 e 5 della legge sulla "montagna", in Diritto e giurisprudenza agraria e dell'ambiente, 1996, I, p. 573 ss.
  22. A favore della configurabilità della posizione privilegiata del coerede preferito in termini di acquisto iure proprio, v. V. E. Cantelmo, loc. cit. Sembra propendere per una lettura in questi termini dell'art. 49, I comma, anche E. Casadei, Le nuove norme, cit., p. 24. Contra, nel senso cioè della qualificazione come acquisto iure successionis, P. Grossi, Diritti degli eredi, in Giur. agr. it., 1982, I, p. 307. La Grossi inquadra ulteriormente la fattispecie nell'ambito degli acquisti a causa di morte a titolo particolare, quale legato avente titolo nella legge anziché nella volontà del de cuius. Cfr. Id., loc. cit. A proposito di quest'ultima argomentazione, appare maggiormente la tesi contraria sostenuta da E. Casadei, laddove ritiene requisito fondamentale per il riconoscimento del diritto all'affitto coattivo, la qualità di erede, e considera non in armonia con la legge la possibilità di mantenere il benefi
  23. Il II comma dell'art. 28 della legge 26 maggio 1965, n. 590 si limita a sancire il divieto della vendita del fondo acquistato con i benefici contemplati dalla legge medesima prima che siano decorsi dieci anni dall'acquisto. Sull'interpretazione della norma la dottrina appare divisa: mentre infatti, si riscontra univocità di opinioni circa le conseguenze che possono derivare dalla vendita infradecennale del fondo acquistato attraverso l'esercizio del diritto di prelazione o del diritto di retratto, qualora sia configurabile un collegamento tra acquisto e rivendita, nel senso della nullità di entrambi; non altrettanto pacifica si prospetta la soluzione accolta in ordine all'ipotesi in cui non ricorrano gli estremi di tale collegamento. Un primo filone interpretativo fa derivare, infatti, dalla vendita infradecennale, come unica conseguenza, la decadenza dai benefici previsti dalla legislazione in materia di formazione e arrotondamento della proprietà contadina (v. per
  24. A favore della tesi che accoglie un'interpretazione estensiva del termine fondo, comprensiva di tutti i beni aziendali, v. A. Carrozza, commento all'art. 49, in Commentario alla legge sui contratti agrari, n. 203\82, cit., p. 216, nota n. 3; E. Casadei, le nuove norme, cit., p. 306.
  25. V., in argomento, L. Russo, Dall'art. 49, I comma, cit.,p. 608.
  26. Cfr. N. Ferrucci, L'individuazione dell'impresa zootecnica e del suo stato giuridico, Milano, 1989, p. 195.
  27. A tale proposito è da ricordare che si è profilata in dottrina una nuova figura, collocata in posizione intermedia tra le pertinenze e le scorte: si tratta delle c.d. "pertinenze agrarie", relativamente alle quali v. Galloni, Lezioni sul diritto dell'impresa agricola, II ed., Napoli, 1984, p. 213.

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